(929) Sintonia

Se vogliamo far funzionare le cose dobbiamo per forza di cose entrarci in sintonia. Non puoi far finta di niente, se ci devi avere a che fare devi trovare il modo di accordarti, o non ne vieni a capo.

Se devi lavare i piatti e odi farlo e approcci il doverlo fare come una sciagura, a parte farlo male, rischi di romperne almeno uno. 

Se devi relazionarti con una persona e questa persona a pelle non ti piace e ti avvicini a lei con riluttanza, dai per certo che sarà una tortura averci a che fare.

Se odi quello che fai, lascia stare, trova qualcosa che sia più in armonia con quello che sei.

Se odi la persona con cui ti interfacci quotidianamente, fai una bella cosa: libera te stesso e tutti e interrompi i contatti. 

Che sia difficile farlo è una scusa, tutto è difficile se lo pensi impossibile. Che sia complicato portare a buon fine l’intento ci sta, ma si fanno tante cose complicate senza battere ciglio soltanto perché diamo per scontato che bisogna farle. 

Se sei in sintonia con l’ambiente che ti contiene, con le persone che ti circondano, tutto si risolve meglio. Più in fretta e con meno danni collaterali, anche i problemi più tosti. Si è insieme, che vuol dire tanto. Vuol dire davvero tanto. 

Se, invece, preferiamo il conflitto e lo stress che ne consegue allora cerchiamo le persone che la pensano come noi e convogliamo la nostra energia distruttiva su di loro, tanto loro faranno lo stesso con noi e la guerra sarà equilibrata. Son bravi tutti a fare la guerra a chi vuole solo stare tranquillo e vivere in pace, si vince facile no? No, si perde comunque, solo che è meno evidente.

La sintonia è tutto. Quando lo capisci sei già in salvo, non potrai più far finta di niente. Cosa scegli?

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(898) Alleanze

Sotto ogni alleanza c’è una sorta di patto tacito: mi fido/ti fidi. Non ci si arriva per forza di cose, non è una concessione. Mi fido. Ti fidi. Reciprocità sostenuta da una visione comune, una condivisione di presupposti e di intenti. Un’alleanza si può costruire nel tempo oppure può nascere d’istinto, sulla scia di un entusiasmo che fa partire progetti (grandi, medi, piccoli/uno, alcuni, tanti, troppi).

Ti allei creando un ambiente dove lo scambio onesto di pensieri e di riflessioni non sia mai messo in discussione. Ci possono essere vedute differenti su questioni marginali, ma per il resto si va avanti insieme perché ci si è riconosciuti reciprocamente e su quella conoscenza si è fondato un micro-mondo dove ci si muove in libertà e nel pieno riguardo delle rispettive libertà.

Stima. Fiducia. Rispetto. Costruzione comune.

Così in famiglia, così in amicizia, così in amore, così in ambito lavorativo. Le alleanze ci sostengono e ci vincolano. Sostengono il nostro bisogno di non essere soli, allo sbando. Vincolano la nostra parola all’azione, un codice d’onore a cui non possiamo scampare. Ti ho guardato negli occhi e ci siamo capiti, soltanto quando finiremo di cercarci, di accoglierci, di capirci, la nostra alleanza smetterà di avere senso. Tutto il resto si può affrontare e risolvere. 

Mi fido. Ti fidi.

Ci credo. Ci credi.

Cos’altro serve? Eh. Servono le palle per esserci, per mantenere la parola e disciplinare la nostra azione. Serve coraggio, forza di volontà, pulizia, umilità, energia, fede. E tanto tanto altro. 

E impari che se la controparte non impegna lo stesso carico di sé stesso nell’alleanza, allora alleanza non è. Si tratta solo di comodità, di interesse, di superficialità mascherata con parole magnifiche e zero contenuto. 

Un’alleanza è un patto d’onore. Un patto d’amore. 

Mi fido, ti fidi?

Ci credo, ci credi?

Parliamone.

 

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(878) Genio

Non sono nata genio, ma lo so riconoscere quando lo incontro. Anche per questo ci vuole un certo genio, concedetemelo.

Mi va a genio, generalmente, chi mi guarda negli occhi riconoscendomi come essere pensante – no non è cosa ovvia – e sa ascoltare anche quando dico cose noiose (succede raramente, ma succede) (detto con una certa ironia, ovviamente).

Mi vanno a genio i libri che mi fanno scoprire il mondo – no non lo fanno tutti – e quelli che mi fanno scoprire piccoli pezzettini di me che ancora non avevo focalizzato per bene.

Mi va a genio chi sorride per darti il benvenuto, chi ti offre da bere solo per poter trascorrere del tempo con te e nient’altro. 

Mi vanno a genio le mug perché non sono tutte uguali, anche se tutte nascono con la stessa funzione. Caffè, tè, me? (cit. Una donna in carriera – film)

Mi vanno a genio le noci brasiliane, i frutti rossi, le candele e gli incensi, lo smalto per unghie, il chinotto, le mappe mentali, gli abbracci sinceri, le corse in bicicletta nella mia pianura/campagna natìa, il mare…

Mi piacciono le persone geniali, ma solo quelle che non sanno di esserlo. L’umiltà colma certi vuoti d’anima delle menti troppo illuminate. Perché anche essere troppo illuminati non è che sia proprio il massimo (secondo me, e non parlo per invidia). Mi piacciono di più, però, le persone di cuore. Quelle superano il genio perché hanno capito cosa significa amare.

In tutto questo vorrei che ci fosse un senso, ma non sono giorni sensati questi per me, sono giorni scoperti, dove gli appigli scivolano via e il rotolare mi fa cadere la testa. Vorrei essere più forte. Più saggia. Anzi, geniale. Magari riuscirei a risolvere questa vita-rebus che mi supplica di essere risolta.

Eh. Mica è cattiveria. Sono soltanto limitata. Maledizione.

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(798) Apertura

Si procede a testa bassa, di solito. La testa te la fanno abbassare per forza di cose gli eventi che cadendoti addosso si fanno trasportare da una parte all’altra a tempo indeterminato. Cose che non si risolvono e che per quanto tu faccia non si risolvono e che per quanto tu t’ingegni non si risolvono e che per quanto tu ti incazzi non si risolvono e per quanto tu le gestica in modo-Zen non si risolvono. In poche parole: l’inutilità d’azione e di pensiero. L’annichilimento.

Certo, ci sono dei periodi in cui ‘ste bastarde cose che non si risolvono e che non riesci a risolvere (che non è la stessa cosa, lo sappiamo benissimo) sembrano avere meno peso, sei distratta a fare altro e smetti di proiettare la tua energia in quel punto. Bellissimo. Perfetto. Ma dura poco. 

A conti fatti rimane soltanto una cosa da fare: fottersene. Ma non è da tutti. Perché se sei una che le cose le vuole risolvere, girarti dall’altra parte come se la questione non ti riguardasse non è facile. A volte non è neppure difficile, è semplicemente impossibile. Eh. Quindi? Niente. Quindi niente.

Però.

Però se appena appena vedi una piccola apertura, basta soltanto un raggio di sole che sbuca inaspettato, allora pensi: va bene, vedrai che anche questa maledizione che sembra eterna, eterna non è. Nulla è eterno. Certo, sarebbe bello risolverla prima di tirare le cuoia, ma alla fine se non deve essere così io comunque potrò dichiararmi un fottuto osso duro che nonostante non sia riuscito a piegare gli eventi a suo favore non s’è fatto neppure spezzare da loro, mica è poco. Eh.

Quindi? Quindi valutando che ci sono aperture, ci sono sempre aperture, allora viaggiare perennemente a testa bassa potrebbe farci perdere quel raggio di sole improvviso e fugace che ci fa tirare un respiro e ci fa procedere ancora per un po’. E adottare la filosofia del sticazzi potrebbe poi non essere una cattiva idea. Se non si risolve, sticazzi. Non suona mica male.

Sticazzi potrebbe essere la soluzione. Crediamoci.

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(734) Rugiada

Ho dovuto imparare a scrollarmi la rugiada di dosso al mattino presto perché il lavoro lo devi andare a incontrare e non ti viene a svegliare a letto come faceva la mamma quando andavi a scuola. Sono un animale notturno, una civetta direi, e questo fa di me lo strazio che sono: comincio a carburare leeeeeeeeeeeentamente e non andrei mai a dormire perché durante le ore tarde il mio cervello – quando non troppo devastato dalla giornata – inizia a funzionare alla grande.

Il mattino, un tempo, lo detestavo. Dovevo alzarmi per fare quello che odiavo fare. L’indolenza adolescenziale me la sono lasciata alle spalle, ma mi è comunque ostico il pensiero che la sveglia puntata alle 6.00 sta suonando e io non posso far finta di niente. Dentro di me l’imperitura lotta fra il chissenefrega e il fai-il-tuo-dovere è sempre cruenta come allora. Stoicamente mi alzo, stoicamente mi butto in doccia, stoicamente arrivo all’auto e affronto la solita coda in tangenziale. Tutto peeeeerfetto.

Mentre percorro gli oltre 30 chilometri per recarmi in ufficio butto lo sguardo sui prati e sul ciglio della strada e quella rugiada che luccica pare un po’ la mia, quella che mi sgocciola dentro. Alla fine sono uguale a un filo d’erba. Considerazione illuminante, vero?

Senza crogiolarmi troppo in quest’ultima immagine, faccio presente che comunque preferirei essere a Bali e godermi il paradiso terrestre, che comunque penso che il mio mattino non abbia l’oro in bocca ma a malapena un ettolitro di caffè da ingurgitare, che comunque ‘sta cosa del viviamo di giorno e dormiamo di notte dovrebbe essere un’opzione e non un’imposizione, che comunque avrei preferito fare la rockstar che qualsiasi altro lavoro al mondo… ma.

Ma il mio cervello in parallelo pensa già a come affrontare ogni punto della lunga lista di cose da fare, a come risolvere quel tal problema, a che idea aggiungere alla presentazione che sto lavorando e via di questo passo. Il mio cervello, la parte che funziona e che non si piange addosso, si formatta autonomamente per permettermi di funzionare – nonostante tutto, nonostante me – fino a notte inoltrata quando appoggio la testa sul cuscino e mi arrendo all’oblio.

Il mio cervello asciuga la rugiada senza neppure il bisogno di un fòn. E io dovrei essergliene grata. Molto anche.

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(540) Questione

Questione di buongusto. Questione di buonsenso. Questione di buona educazione. La questione si pone, eccome!

Perché se non è previsto nel tuo DNA, il buongusto e il buonsenso è difficile farteli entrare nel sangue. Ci si potrebbe impegnare anni senza per questo riuscirci. La cosa peggiore è che chi è portatore di cattivo gusto e manca di sale in zucca non se ne accorge. Circola nel mondo seminando petardi come se niente fosse e lo fa con la scempiaggine di chi è convinto di stare nel giusto. La questione non riguarda loro, ma gli altri. Ti scoppia un petardo tra i capelli e ti si incendiano, ma il petardo te l’ha tirato un idiotone, tu che fai?

Se hai buonsenso spegni l’incendio e fai presente all’idiotone che ti ha danneggiato (se non ce n’hai, di buonsenso, gli spacchi la faccia), ma non risolvi nulla. La questione rimane congelata: l’idiotone resta un idiotone e tu resti lì coi capelli bruciati. Amen.

Non si porrebbe alcuna questione se gli idiotoni danneggiassero soltanto loro stessi, ci sarebbe un senso di Giustizia Divina in questo. Si dormirebbe tranquilli. Invece no, non è mai così. Le conseguenze rimbalzano su chi non c’entra un tubo. E lì parte l’embolo.

Una questione da risolvere? Risolvere come? Con il buonsenso. Con il buongusto. Con la buona educazione. Massì, facciamoci del male, illudiamoci ancora e ancora. In fin dei conti non c’è questione che tenga, siamo destinati a estinguerci e in malo modo. E sia!

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(414) Superpoteri

Ci sto pensando da tutto il giorno (come se non avessi di meglio o altro da fare, lo so) e ancora non mi so decidere. Qual è il superpotere che potrebbe risolvermi la vita? Quale? Quale? Quale?

Nella mia personalissima Top Ten i primi tre posti se lo sono aggiudicati:

1° Il teletrasporto

2° La telepatia

3° Schioccare le dita e far apparire denaro.

Non sono granché fantasiosa, lo ammetto, ma in tutta onestà il gioco non riguarda la creatività, ma la capacità di usare questi poteri per risolvermi la vita. Infatti, per ognuno dei tre ho un milione di situazioni diverse nelle quali usarli e questo mi rende parecchio creativa. Pure troppo.

Ora: dando per scontato che l’Essere Umano è del tutto incapace di valutare cosa sia la felicità e quale sia il tenore dei propri desideri, sospetto che questi tre superpoteri potrebbero anche distruggermi.

Va bene, sono disposta a correre il rischio. Aspetto pacco dal corriere, allora, è deciso.

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(342) Emergenza

Emergenza, sembra ormai che tutto sia diventato un’emergenza. Talmente tutto e talmente emergenza che registriamo la cosa come normale e passiamo oltre. Allucinante, vero? Vero, ma facciamo così.

Diamo per scontato che l’emergenza qualcuno la affronterà e che l’emergenza qualcuno la risolverà. Qualcuno. Ebbene, la notizia è che di solito le emergenze noi le affrontiamo ignorandole, sperando che non accada di peggio, ma senza la voglia di evitare concretamente la catastrofe. Al massimo preghiamo, se ci concediamo il lusso, beninteso. Ad ogni modo sarebbe bene ricordarsi come vanno le cose, e non per cattiveria, ma semplicemente perché così le cose devono andare.

Se la terra trema, non smetterà di tremare solo perché lo ha già fatto e noi ci abbiamo già pianto sopra.

Se qualcuno si lancia con un Tir sulla gente che passeggia spensierata, non smetterà di succedere solo perché è già successo e noi siamo già stati traumatizzati abbastanza.

Se qualcuno salta in aria su una mina antiuomo, non smetteranno le mine antiuomo di far saltare in aria Esseri Umani solo perché noi non ci vogliamo pensare.

Emergenza significa condizione di gravissimo rischio, gravissimo pericolo, gravissima minaccia. Si affronta con grande lucidità, preparazione, coraggio, determinazione. E lo si fa per risolvere l’emergenza, per rientrare nella normalità, per ritornare in zona sicurezza.

Emergency lo sa, sa come si fa, sa che deve fare e non delegare a chi non c’è e a chi non vuole esserci. Ecco, ascoltare chi fa e chi c’è per fronteggiare un’emergenza che vogliamo curare è una cosa saggia.

Un’emergenza è per definizione uno stato di cose che ha vita breve, non è fatta per restare, non è fatta per sopravviverci. Un’emergenza lo sa, siamo noi che non vogliamo prenderci la responsabilità di gestirla. Siamo veramente patetici.

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(337) Decompressione

Una cosa che dovrei proprio imparare a fare è la decompressione del mio stato emotivo. Questo concetto mi si è palesato tre minuti fa quando stavo pensando a cosa diavolo scrivere stasera.

Sono stanca stravolta e, per quanto possa sembrare inverosimile, più sono stanca e più sono suscettibile di illuminazioni illuminanti. Poi a saperle tradurre in linguaggio comprensibile ce ne passa, ma nella mia testa è tutto illuminato e splendente.

Riprendendo l’assunto iniziale, mi sono accorta ora (anche a seguito di una telefonata importante con una mia cara amica) che il mio stato emotivo in perenne compressione non mi sta facendo un gran servizio. Col tempo la cosa mi è sfuggita di mano e ora non so più come gestirlo.

Inabissandomi in questa fulminea presa di coscienza m’è subito scattato il meccanismo abituale: problema? = trovare soluzione. E da lì è stato un attimo, ecco di cosa voglio scrivere stasera! Di decompressione. Allora apro il post e scrivo la prima frase che mi viene in mente sperando che le cose mi si chiariscano nel mentre. Non è così. Non so nello specifico come mi sarà possibile decomprimere il mio stato emotivo, non so neppure se sia possibile o se ormai è troppo tardi e così sia.

La soluzione l’ho trovata, non so ancora come concretizzarla. Ho il sospetto che questo non farà che implementare la costipazione del mio stato emotivo.

Brutta miseria! E adesso?

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