(1062) Birra

Diamo per scontato che ci sono giornate e giornate. Una diversa dall’altra, per fortuna e purtroppo. Diamo anche per scontato che a volte, dico a volte, si è di buon umore e ben disposti nei confronti di tutto l’Umano possibile e altre no. Diamo per scontato che in quelle no ci sono delle differenze: si può essere leggermente intolleranti, discretamente intolleranti, decisamente intolleranti, pesantemente intolleranti, bestie-sterminatrici-all’attacco (l’ultimo stadio).

Perché l’Essere Umano (in generale) contiene moltitudini (cit. Walt Withman) e alcuni contengono abissi che se vai lì a stuzzicare può succedere il finimondo.

Ecco, io sono nella norma, se mi arrabbio davvero al massimo impreco come un contadino friulano dopo una grandinata che gli ha rovinato la vigna. Finisce lì. Sì, non dimentico (sono pur sempre friulana), ma ci passo sopra il più delle volte. Col tempo posso anche far finta di niente.

Aiuta, però, sapere che in frigo c’è una birra.

La sbronza no, quella lascia strascichi brutti e peggiorare la situazione è idiota, ma una birra fresca – una Guinness ovviamente – che ti fa piombare il malumore ai piedi mentre deglutisci e senti l’amaro in bocca che si mescola con la tostatura irlandese, sì. Ci vuole. Perché pensi meglio, diventi anche più lungimirante. Proietti il maltorto in un tempo così lontano che già ti vedi oltre: oltre tutto quello che si può oltrepassare e che ormai non ti tange più.

Ci sono molti modi di affrontare le giornate, sapere che se tutto va in malora tu puoi contare su qualcuno che ti fa calare il sangue caldo che hai alla testa e ti fa i piedi un po’ più pesanti (conviene avere o divano o letto vicini) è sempre un bel sollievo. No, non è che oggi è andata così male, era tanto per dire. Mi sembrava giusto scriverlo per ricordarmelo e l’ho fatto. Meglio prepararsi al peggio sperando il meglio che essere presi di sorpresa e tirare giù il firmamento con le imprecazioni, giusto?

Cheers.

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(915) Difetti

Anche tagliare i propri difetti può essere pericoloso. Non si sa mai qual è il difetto che tiene in piedi il nostro intero edificio.

(Clarice Lispector)

Non me la sento di darti torto, Clarice, come potrei? Ho sempre pensato che le persone siano fatte di incastri, se vai lì e sposti, togli, aggiungi, come puoi pensare che la struttura non crolli?

In questo senso, temo che un professionista (psicologo, analista, psichiatra ecc.) per quanto sia bravo non può permettersi di forzare nulla. Non si tratta di riprogrammazione (quella la si fa con i computer), al massimo puoi rendere un po’ meno oscuri certi meccanismi, far luce su pezzetti che erano stati trascurati. Tutto lì.

Rifarsi nuovi, neppure con i bisturi porta a nulla. Partire dal presupposto che siamo sbagliati così come siamo può essere letale. E chi vorresti essere, santidddddddio? Chi ti immagini di poter essere per poter essere felice? La Grande Illusione porta prematuramente alla tomba.

Ci potremmo scrivere liste della spesa lunghe quanto un romanzo prima di venirne a capo, ma sarebbe meglio giocare d’anticipo: prima di cadere nel tunnel dell’autocommiserazione, aprirsi all’accoglienza dei propri difetti. Non perché non si possano mitigare, ma perché sarebbe inutile criminalizzarli. Che fai? Ti sbatti in prigione finché non ti redimi? Tutti in convento, si’ore e si’ori, perché si sa che il convento è la casa della Felicità.

Ma per favore!

Allora, se tolgo un difetto ed è quello che mi fa stare in piedi, poi dove mi metto? Se tolgo il difetto che ti dà ai nervi, divento un po’ meno imperfetta, tu riuscirai a stare al passo? Se tolgo il difetto meno pesante, che differenza farà nella dinamica che regola il mio Essere? Non mi conviene tenermelo? Sarebbe fatica sprecata, no?

Facciamo che io accetto i tuoi finché posso, tu accetti i miei finché reggi, e quando non ne possiamo più ci salutiamo e ognuno va per la sua strada? Dai, facciamo così che altrimenti mi viene il mal di testa e lo sappiamo tutti come va a finire. Ok?

 

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(738) Corridoio

Ogni tanto prendo corridoi che non so dove mi porteranno. Spesso è capitato che manco lo avessi scelto io, mi ci sono semplicemente trovata lì e ho dovuto cominciare a percorrerli per capire che diavolo di meta fosse prevista. Camminare senza sapere dove andare non è il massimo della vita, per una come me, ma di solito i corridoi hanno diverse porte che si possono aprire, ben prima di essere arrivati in fondo. Matrix ce lo insegna.

Ci sono strade che son già segnate, percorsi obbligati se si vuole arrivare fin-là dove ci aspetta un posto già conosciuto e magari anche considerato con un certo prestigio dai più. Ecco, io non ho mai voluto andare fin-là, ho sempre scelto alternative poco praticate, o per nulla, e percorsi solitari, anche quando mi sono ritrovata in mezzo alla gente costretta in un budello che sembrava non finire mai. Insomma: il viaggio non è mai stato né facile né rassicurante. Perché non c’era prima, me lo dovevo costruire io – a volte con le piastrelle altre con i mattoni e spesso con i sassolini anche se non sono mai stata una Pollicina.

Fatto sta che un corridoio ha un inizio e una fine – che non è male come certezza. Primo passo e da lì, dopo n-passi arrivi a un altro punto dove finisce la storia. Sapere che la storia finisce può essere un sollievo non da poco.

Un corridoio lo percorri in un verso e anche nel verso opposto, puoi sempre tornare indietro – anche questa certezza fa la sua porca differenza. Mal che vada sai da dove sei venuto e sai che puoi ritornare al punto di partenza, ti auguri non succeda ma sapere che potresti è un ulteriore sollievo.

Un corridoio se è illuminato è meglio, ma se hai visto Shining è peggio. Un corridoio se ha porte chiuse è meglio perché nessuno sbucherà fuori all’improvviso, ma se sono chiuse pure le porte che ti farebbero accedere alla ricchezza dell’esperienza che stai attraversando diventa frustrante.

Un corridoio se ben pavimentato può essere percorso a piedi, sui pattini a rotelle, in bici, in motorino, in auto, in Tir/autobus/pullman, pure in elicottero e in aereo o in aliante/parapendio e chi-più-ne-ha-più-ne-metta. Lo si può fare più o meno velocemente, più o meno agilmente, ma se il terreno è dissestato meglio che lo fai a piedi. Ricordare che un corridoio non è un tunnel è doveroso, con i tunnel è tutta un’altra cosa, chi ne ha uno lo sa.

Insomma, queste considerazioni del sabato sera sono piuttosto ridicole – danno l’esatta consistenza del mio livello neuronale attuale e della mia capacità di discernere e anche di socializzare. Immaginiamo che anziché scriverlo io lo stessi raccontando a qualcuno che sta seduto a mezzo metro da me, cosa potrei rischiare? Come minimo non sarei arrivata neppure a metà discorso. Invece, eccomi qui a scrivere e non so chi stia leggendo, ma so che anche se mi odierà con tutte le sue forze non potrà lanciarmi fuori dalla finestra con un calcio nel sedere. Non ora almeno.

La scrittura può salvarti la vita. La mia di sicuro.

 

 

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(681) Mondo

Una volta era più piccolo, poi ha deciso di farsi tondo anziché piatto, di farsi dettagliato anziché blandamente abbozzato e noi abbiamo perso la bussola.

Colpa degli avventurieri, degli esploratori, dei conquistatori. Colpa delle mappe, colpa delle sonde spaziali, colpa di Google Maps. Ora il mondo è enorme. Enorme e pieno di cose, oltre che di persone, talmente pieno che ne hai abbastanza di un paio di documetari per sentirti padrone di terre lontane, prima sconosciute e ora decisamente alla tua portata – oplà! Colpa del National Geographic e anche di Piero e di Alberto Angela, perché quando è troppo, è troppo.

E ‘sto fatto di andarsene in giro, di usare i piedi, le bici, le moto, le auto, gli aerei, le barchette, le canoe, le navi, i transatlantici… che abitudini sono queste? Dovremmo essere ancorati al suolo con radici massicce, come quelle di un baobab, altroché! Almeno così si eviterebbe di andare a rompere le scatole a casa degli altri. Si nasce, si vive e si muore nello stesso posto. Niente incroci di razze, di tradizioni, di usi e costumi. Niente di niente.

Alla fine internet va bene, ti puoi guardare le cose che ti interessano senza muoverti di un passo e capire tutto. C’è Wikipedia e ci sono i Social, no?

Quando il mondo è troppo, davvero troppo, non possiamo far altro che rimpicciolirlo. Lo facciamo diventare piatto. Da qui a lì. Lo si può percorrere con lo sguardo, a spanne, e togliere tutto il superfluo. Togli quello che non ti interessa, togli quello che ti disturba. Fai pulizia. Spazzi gli angoli del tuo mondo piatto e ci pattini sopra senza impedimenti. Semplice.

Ma se ami i tuoi piedi perché ti portano gagliardi da una parte e dall’altra, se non soffri il mal d’auto o il mal di mare o il mal d’aria, se non ti spaventano gli incroci e le contaminazioni, se sei una persona rispettosa dei luoghi che non ti appartengono e degli usi e costumi di chi è diverso da te… allora l’enormità del mondo la vorresti abbracciare ad ogni respiro, la vorresti percorrere con la mente e con il corpo senza perderti neppure un passo, e scivolare sulla sfera come un acrobata diventerà la tua filosofia e la tua sola ambizione. Le radici te le porterai dentro, ringraziando ogni baobab che incontrerai sulla tua strada perché le scelte degli Esseri Viventi sono sacre, anche quelle che non capisci.

Il mondo era piccolo, ora è enorme. Un’enorme benedizione. Svegliamoci!

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(497) Oro

Mantenere la tua posizione quando senti che è giusta, vale oro. Fare un passo indietro quando ti accorgi che ti sei sbagliato, vale oro. 

Guardare negli occhi chi ti sta di fronte mentre affermi il tuo essere libero, vale oro. Fermarti e riconoscere che stai abusando della tua libertà per mortificare quella di chi ti sta di fronte, vale oro.

Ma quale oro? Non quello che si gratta dalle viscere della Terra, quello vale poco, non quanto le vite di chi consuma i suoi giorni affondato laggiù. L’oro è quel filo che ci percorre dai piedi alla testa e che ci tiene su, ci sorregge. Non si mescola al sangue, non lo puoi confondere con nient’altro. Lo vedi brillare in superficie in un bimbo che sbatte i pugnetti sul pavimento quando piomba giù al suo primo passo. Una bella culata, parata dal pannolone, non fa altro che rinvigorire il bagliore. Tempo due secondi ed è in piedi, quel nuovo tentativo non vale oro, è oro.

Mi sconvolge vedere che qualcuno lo ignora, che c’è chi non prende in considerazione quel filo d’oro che lo attraversa. Mi chiedo il perché. Forse non lo vede? Forse lo vuole negare? Forse pensa di averlo perso?

Se sto su, se sono in piedi, è per quel filo d’oro che sorregge ogni osso del mio corpo. Quel filo è sottile, sta facendo una fatica della miseria, ma ancora non si spezza. Sono sbalordita dalla sua forza. Riconoscerla ora, con la stanchezza che è sparsa ovunque, vale oro. Questa volta il mio.

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(264) Ritrovare

Quando ritrovi un oggetto che temevi sparito per sempre è una gioia. Quando ritrovi una persona a cui tenevi molto e pensavi che il tempo ormai avesse cancellato le tracce del legame d’amicizia è proprio felicità. Capita raramente, a me è capitato un paio di volte. Oggi la seconda.

Non è vero che scrivo solo quando sono misera e infelice, voglio scrivere anche quando sto proprio bene. Infatti sono qui per condividere questo piccolo miracolo che oggi mi è accaduto.

Non è stato un caso fortuito, l’ho cercata io e lei si è fatta trovare. Come se non fosse trascorso neppure un mese, anche se in realtà si tratta di anni, molti anni. Lei sempre la persona cristallina e autentica che amavo, questo è il vero miracolo in realtà. La sua capacità di rimanere fedele a se stessa, riconoscibile a occhi chiusi, così bella.

In quest’ultima settimana dove son volate cose pesanti, oggi è stato come se mi avessero ridato le ali. Ho intenzione di tenermele strette, queste ali, si affronta meglio il cammino quando puoi sollevarti un po’ e dare pace ai piedi.

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