(1029) Corda

Mi rendo conto che sto tirando troppo la corda e che le mie sinapsi e il mio corpo dolorante si stanno ribellando. Ma io continuo imperterrita a impormi di fare i salti mortali perché penso che non ci sia altra scelta.

Ovvio che il mondo non cade se mi fermo io. Ma quello che sto facendo mi impone di continuare perché se mollo crolla tutto. Tutta la mia vita intendo. Questa condizione non mi rende infelice, ma perennemente stanca. Tirare la corda stanca.

Partendo da qui va anche detto che non sto lavorando in miniera per cui non sono di certo io la più stanca zombie che si aggira sulla Terra, ma ognuno sente il suo perciò dichiararmi sfinita non mi pare brutto. Direi piuttosto doveroso. Cambia qualcosa? No, ma lo dico lo stesso.

Allargando il discorso, vorrei soffermarmi sul pensiero che ci sono nel mondo, e sono tantissime, persone che di gran lunga hanno più diritto di me di dichiararsi sfinite, e che queste persone sono costrette a tirare la corda e impiegare ogni grammo di energia residua per portare a termine le proprie giornate. E poi ci si ammala, e poi si sbrocca, e poi succedono casini inenarrabili.

Tirare la corda lo si fa per inerzia, senza pensare di essere arrivati agli sgoccioli, si sottovaluta la propria situazione e ci si convince che quel fantomatico ancora-un-po’ non ci ammazzerà. Siamo fatti così.

Il punto è che Iron Man se lo può pure permettere, noi umani-normo-dotati no. Quindi? Quindi fermarsi mezzo metro dal burrone potrebbe non essere sufficiente, bisogna bloccarsi un paio di km prima almeno.

Lo dico a me e lo dico a chiunque passi di qui a leggere queste righe: bisogna fermarsi quando il burrone non è ancora visibile. Tanto lo sappiamo che c’è, dobbiamo tenerne conto in modo da salutarlo da lontano senza finirci dentro.

Quindi… abbiate cura di voi, ovunque voi siate, sempre.

Buonanotte Folks.

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(870) Bello

Come un invito a sorpresa da chi non ti saresti mai aspettata. Bello come quando guardi il cielo che brilla e respiri bene e puoi sorridere. Bello come un segreto che ti viene svelato soltanto perché la vicinanza lo permette. Bello come quando ti puoi affidare a un silenzio perché è tutto già pieno e non serve altro.

Bello che puoi ricominciare a sentire. E pensavi fosse un lusso che non ti saresti più potuta permettere.

Bello il lago che ti parla col suo azzurro sempre diverso, che un po’ segue quello che ti succede dentro e puoi rimandare anche le spiegazioni. Bello quando le parole che decidono di uscire trovano ascolto anche se qualche dubbio rimane. Bello quando non conti i passi e non conti il tempo e non conti il come-dove-quanto-quando perché va tutto bene.

Bello che te ne accorgi, che riesci a gustarlo e gli permetti di depositarsi con gentilezza senza pretendere di metterci sopra altro.

Bello poterlo scrivere, perché non è ovvio che si possa fare e che non sia forzato e non sia tradotto in un linguaggio lontano che poco ha a che vedere con te.

Forse è un pezzettino di felicità.

Bello.

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(686) Eco

Ci sono dei passi che hai fatto di cui ti porti ancora l’eco dentro, te ne sei accorto? Sono quelli che non finiranno mai, non importa quanto ci stai provando e da quanto tempo, non finiranno mai. Te li porterai dentro per sempre.

Non ho ancora capito se è perché dovevo fare altre scelte e il reminder diventa una sorta di punizione, o se è perché la scelta è giusta ma ancora non l’ho digerita. L’ho fatta, ma soltanto perché andava fatta nonostante il dolore che mi poteva causare. Soltanto che l’ho scoperto troppo tardi che l’eco del dolore non passa mai. Neppure quando non c’è più ferita, neppure se non c’è nemmeno una cicatrice. Mai. Rimane tatuato nel cervello e ti si ripresenta intatto anche a ricordarlo dopo un secolo. Questa è la vera maledizione del vivere.

L’eco stordisce, non sai da dove è partito il suono originale, non sei in grado di contare tutti i rimbalzi che ha fatto per arrivare a te, non sei nella condizione di poterlo schivare. Sei semplicemente sulla sua traiettoria e ti porterà con sé ovunque voglia andare. Mi piacerebbe poterlo prendere al volo, tenerlo in mano per guardare che faccia ha. Sono quasi certa che abbia la mia faccia, sì, non può essere altrimenti.

Penso anche all’eco di quel che ho fatto e ho detto in questi anni, sarà rimasto dentro a qualcuno? Non come una sottile vendetta per chissà quale peccato, no. Sarebbe terribile, non me lo perdonerei. Piuttosto come un’esortazione gioiosa, una richiesta al poter Essere-Presente, alla sostanza delle cose, dei fatti, delle persone, degli incontri. Questo sarebbe bello, fosse anche soltanto in una persona, sarebbe bello.

Chissà se l’eco di me, in qualche modo, riesce ad essere utile al mondo. Chissà.

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(408) Ostruzionismo

ostruzionismo /ostrutsjo’nizmo/ s. m. [der. di ostruzione, sul modello dell’ingl. obstructionism]. – 1. [azione con cui si tende volutamente e sistematicamente a ostacolare una determinata attività] ≈ boicottaggio, (non com.) ostruzione, sabotaggio. ↔ aiuto, appoggio, sostegno. ● Espressioni: fare (dell’)ostruzionismo [frapporre degli ostacoli allo svolgimento di un’attività] ≈ e ↔ [→ OSTACOLARE (2)]. 2. a. (polit.) [sistema usato dalle minoranze parlamentari per impedire o ritardare le deliberazioni della maggioranza, mediante l’uso dilatorio di tutti i mezzi consentiti dalle norme parlamentari] ≈ filibustering. ⇑ sabotaggio. b. (sport.) [nel calcio e nel rugby, manovra scorretta consistente nell’ostacolare intenzionalmente con il proprio corpo la corsa dell’avversario che sta per impossessarsi della palla] ≈ ostruzione.

Di solito non è palese, ma viscido e codardo. Sia per dinamiche che per chi lo mette in atto. L’ostruzionismo è una di quelle cose che mi fa imbestialire. Quando mi trovo davanti qualcuno che finge di essere di supporto e invece ti si oppone con mezzi vigliacchi, mi parte l’embolo.

Non pretendo fans che mi sorreggono mentre faccio stage diving, perlamordelcielo, ma dichiararsi a favore o contro guardandomi negli occhi – visto che non giro armata – è un dettaglio che mi fa differenza. Ti opponi? Bene, motivami la tua posizione che magari mi convinci e vengo dalla tua parte. Che problema c’è? Se ti nascondi dietro l’invidia verde e la competizione idiota, non vale. Davvero, ti sgamo subito. Mi vien proprio facile, credimi. Dichiarati per quello che senti, confrontiamoci apertamente, vedrai che in me non c’è niente da invidiare e non c’è nulla per cui competere. Fidati, so quello che dico, fidati.

Gli sgambetti, le pugnalate alle spalle, l’ironia sparata appena mi giro… che cose misere, che cervello triste, che risorse ridicole riesci a mettere in campo!

Se ti pensassi nemico da combattere, avresti già vinto. Non è che voglio vincere io, è che non c’è nulla da vincere. Non sto combattendo per superarti, ma per superare me stessa. Non sto dando l’anima per salire sulla pedana, ma per non vergognarmi per non aver fatto del mio meglio nel superare l’ostacolo. Non sto guardando te mentre avanzo, sto cercando di non inciampare sui miei stessi passi. Perché la strada è stata lunga e sono piuttosto stanca. Secondo te ho tempo da perdere? Energie da buttare? Fame di rivalsa? No. Bado ai miei passi, a farli meglio che posso. Non voglio cadere, tutto qui.

Vai pure avanti, vinci quello che pensi ci sia da vincere, e tienimi da parte una birra che quando arrivo sarò assetata. Vuoi?

 

 

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