(1090) Countdown

Inizia oggi. Fra 5 giorni questo blog si fermerà. Ho intenzione di dedicare altri 5 post in più per parlarvi di questa mia esperienza (quindi vi saluterò definitivamente il 3 ottobre 2019). Finire bene è importante almeno quanto iniziare bene. Il cerchio di chiude e tutto deve trovarsi il suo posto. Se non accade manchi un’occasione che rimpiangerai per tutta la vita (vale per le piccole cose e per le cose importanti).

Iniziare il countdown significa che devi pensare a un sacco di cose. Devi lottare contro molte emozioni contrastanti. Devi tenere botta e rimanere sul pezzo. Non puoi distrarti, hai uno scopo ben preciso che ti sta venendo incontro. Sbatterci la faccia non è una buona idea.

Ne ho vissuti alcuni di countdown durante i miei anni, ma questo è il più consapevole. Gli altri non avevano proprio una scadenza, gli altri stavano su a forza di nervi, una volta che cedevano chiudevo e bon. Ecco come ho imparato che chiudere bene è fondamentale per non ritornarci più sopra. E non si può vivere lasciandosi tutte le porte aperte alle spalle. Non si può continuamente tornare indietro, ripetere ciò che ormai è finito e che deve essere lasciato in pace.

Conviene fare per bene tutto. Progettare una buona fine, realizzare una buona fine, vivere una buona fine. Lo fai una volta, lo fai bene e tutto va a posto.

Ok, oggi inizia il countdown. Saranno giorni strani. Saranno bei giorni. Di tristezza e di sollievo a tratti. Restate con me fino alla fine? Spero di sì.

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(1068) Maturità

Pensavo che la maturità fosse un’oasi di pace, dove i conti tornano e ci si mette via via l’anima in pace preparandosi a godersi la vita così come la vita deve essere: meravigliosa.

È molto probabile io abbia frainteso un paio di concetti costruendomi un’utopia difficilmente giustificabile.

Ovviamente, la maturità ti porta una certa presenza di spirito. Magari prendi un po’ meglio le cose – dalle rotture di palle alle delusioni, dai contrattempi ai piani falliti e via dicendo – ma poco altro. Davvero poco altro. Ci si incazza ancora (sperando di esserne ancora capaci) e si soffre ancora per le cose che sfuggono via e non ci si può fare niente. Soprattutto si viene presi da attacchi furiosi di nostalgia e ogni nostra giornata ha un sottofondo malinconico che si sposa male con il godersi davvero la vita meravigliosa che vorremmo.

Su questo me la sento di azzardare che non sono la sola a viverla così, altrimenti vedrei i miei coetanei passarsela meglio.

Dunque è evidente che la mia idea naïf di maturità deve essere corretta e sanata. Eppure, la tristezza che mi prende nel pensare di lavorarci sopra togliendo tutto lo zucchero mi è insopportabile. Pensare che prima o poi scorgerò all’orizzonte quell’oasi di pace in cui rifugiarmi è un bel pensiero, dopotutto. Illudermi che ci sarà un miglioramento e che le cose diventeranno meravigliose (andiamo a percentuale, dai, almeno un bel 50% su!), mi tranquillizza. Mi fa stare a galla.

Comunque, l’estate si sta squagliando, si entra ufficialmente nella stagione della malinconia… dove mi trovo decisamente più a mio agio. Ma di cosa sto parlando, quindi? Va bene così, va tutto bene così.

È meraviglioso.

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(1008) Pesci

Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.
(Albert Einstein)

Innanzitutto bisognerebbe fare mente locale e capire che tipo di pesce siamo. Per esempio: un pesce con poca memoria a breve termine, tipo Dory, è un pesce che mi assomiglia molto. Ma quello che intendevo dire è che pensarti un pesce o una giraffa cambia parecchio, ma anche crederti uno squalo mentre sei soltanto un pesce rosso può darti qualche disturbo in certe situazioni.

Pertanto già decidere che pesce siamo è un bel punto di partenza.

Da lì si parte con una bella introspezione per capire se ci piace essere un pesce o se vorremmo magari essere uno scoiattolo per salire e scendere dagli alberi in scioltezza. E poi valutare come/quanto/perché chi ci sta attorno ci pretenda altro da ciò che siamo. Completato il giro, ci si fa due conti e si procede.

Lasciamo da parte i geni, quelli hanno tutta un’altra storia, parliamo di persone comuni, come me, persone che vogliono solo fare quello che gli riesce meglio senza rompere le palle a nessuno. Ok, queste persone, tanto per dire, non è che si immaginano di essere condor e sono soltanto girini, queste persone si vedono esattamente come sono e cercano di trovare un posto nel mondo dove esserlo senza chiedere il permesso e senza chiedere scusa. Trovare il proprio posto, insomma.

Ora: le pretese che ci afferrano per la gola sono quelle che alla fine ci fanno soffocare. E, in tutta sincerità, le acrobazie le fanno gli acrobati, che son dotati e sono pure allenati, quindi si arriva fino a pagina 2 e a pagina 3 ci si può pure fermare. Giusto?

Io mi propongo di farci attenzione d’ora in poi, perché va bene tutto, ma non è che la vita è sempre un dimostrare qualcosa a qualcuno (neppure a sé stessi). La vita è viversi con serenità, che dove non arrivi tu magari arriva qualcun altro e le cose vanno  comunque avanti senza bisogno di tragedie. Giusto?

Ok, tanti pesci ci sono in mare, a me basta esserne uno ed esserlo in totale tranquillità e in santa pace.

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(957) Ragione

L’avere ragione non è una priorità per me. A dirla tutta non me ne frega niente. Non penso e non dico qualcosa per avere ragione, posso anche avere torto marcio che non fa alcuna differenza. Prendo in carico quello che penso e quello che dico e cerco di trovare un senso al giusto e sbagliato o alla possibilità che non ci sia sempre e per forza un giusto e uno sbagliato. Pace. 

Il confronto schietto e leale mi aiuta a capire meglio. Mi interessa capire. Mi interessa capire meglio me stessa e capire altri punti di vista. Mi interessa sinceramente. Non per affermare me stessa e il mio pensiero, non per prevaricare le opinioni altrui, non per evidenziare una qualche mia superiorità (madeche?). Ai più sembra impossibile. Impossibile che io sia davvero questo tipo di persona. E di per sé è offensivo, ma non me ne importa niente perché ho superato da un bel pezzo l’adolescenza e piacere agli altri non è in cima ai miei desideri. Anche questo ai più sembra impossibile.

Ci sono cose che non ho più voglia di spiegare a nessuno. Ci sono cose non ho più bisogno di spiegare a qualcuno. Ci sono cose che non serve più che io comunichi al mondo. Una gran bella liberazione, davvero.

La ragione è dei giusti o dei folli o degli stolti o dei saggi? La ragione muta padrone ad ogni provocazione lanciata sul piatto di un qualsiasi argomento. Che gira la testa solo a pensarlo, solo a cercarla. Che importa quindi?

Lascio il gioco e la posta che si è accumulata sul piatto. Ho solo bisogno di dormire e di ritornare in me, in quell’equilibrio che mi viene sottratto ad ogni turbolenza. Credo di non essere attrezzata per affrontare certe giornate. Temo non lo sarò mai.

Pace.

La ragione della non-ragione che si mostra alla mia ragione, smagrisce la mia ragione.
(Miguel de Cervantes)

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(929) Sintonia

Se vogliamo far funzionare le cose dobbiamo per forza di cose entrarci in sintonia. Non puoi far finta di niente, se ci devi avere a che fare devi trovare il modo di accordarti, o non ne vieni a capo.

Se devi lavare i piatti e odi farlo e approcci il doverlo fare come una sciagura, a parte farlo male, rischi di romperne almeno uno. 

Se devi relazionarti con una persona e questa persona a pelle non ti piace e ti avvicini a lei con riluttanza, dai per certo che sarà una tortura averci a che fare.

Se odi quello che fai, lascia stare, trova qualcosa che sia più in armonia con quello che sei.

Se odi la persona con cui ti interfacci quotidianamente, fai una bella cosa: libera te stesso e tutti e interrompi i contatti. 

Che sia difficile farlo è una scusa, tutto è difficile se lo pensi impossibile. Che sia complicato portare a buon fine l’intento ci sta, ma si fanno tante cose complicate senza battere ciglio soltanto perché diamo per scontato che bisogna farle. 

Se sei in sintonia con l’ambiente che ti contiene, con le persone che ti circondano, tutto si risolve meglio. Più in fretta e con meno danni collaterali, anche i problemi più tosti. Si è insieme, che vuol dire tanto. Vuol dire davvero tanto. 

Se, invece, preferiamo il conflitto e lo stress che ne consegue allora cerchiamo le persone che la pensano come noi e convogliamo la nostra energia distruttiva su di loro, tanto loro faranno lo stesso con noi e la guerra sarà equilibrata. Son bravi tutti a fare la guerra a chi vuole solo stare tranquillo e vivere in pace, si vince facile no? No, si perde comunque, solo che è meno evidente.

La sintonia è tutto. Quando lo capisci sei già in salvo, non potrai più far finta di niente. Cosa scegli?

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(894) Riposo

Finché non è Eterno va bene. Eterno è un po’ troppo estremo, non mi va di pensarci ora, ma un giusto riposo tra un pezzo di vita e l’altra credo sia cosa da fare. Me lo continuo a ripetere: riposare non è un fermarsi per sempre. Poi si riparte, si riprende il ritmo, si va va va va finché non sei esaurita (magari anche un po’ prima) e poi ti ri-fermi un altro po’.

Perfetto. Non fa una grinza. Eppure quando lo faccio mi parte una saetta di senso di colpa che faccio fatica anche a raccontarlo. Una roba da non crederci.

Saranno i diecimila libri che mi stanno aspettando, le diecimiliardi di storie che voglio raccontare, i diecimilamilioni di posti che vorrei esplorare… non lo so. Mi urlano tutti quanti in coro: S-V-E-G-L-I-A-T-I!

Riposare così vien difficile no?

Una volta mi sono pure fatta una lista di tutte le cose che potrei fare mentre mi riposo… ci rendiamo conto? Non serve aggiungere altro.

Il punto è che davvero il corpo ha bisogno di riposo e anche la mente. Che quando sono in overdose mi sembra tutto più enorme e incombente di quel che è davvero. Mi sento debole e da buttare.

E allora perché non mi do pace? Neppure per un weekend?

Ecco, bella domanda. Bella bella bella domanda. Magari un giorno troverò la risposta. Posso al momento solo valutare che questo mio bisogno di rifletterci presuppone un bisogno più profondo: cambiare strategia. Anziché annientarsi di fatica (ritrovarsi col cervello obnubilato alla fine non è una gioia), sto valutando a delle opzioni diversificate, meno estreme. Meno da Eterno Riposo, ecco.

Non le ho ancora messe tutte bene in fila davanti a me per guardarmele meglio, ma arriverò a farlo e mi farò una bella ragionata e forse, dico forse, attuerò un cambiamento. Piccolo, neh, però sempre cambiamento sarà.

Augh!

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(883) Tranquillità

Non è che è gratis, te la devi proprio guadagnare. Costruirsi uno spazio dentro di noi dove poter stare tranquilli è cosa di pochi. Lo devi proprio volere con tutte le tue forze e lo devi anche saper difendere e riconquistare ogni volta che ti viene espugnato. Sì, è una guerra. Ma il premio è la tranquillità. A conti fatti ne dovrebbe valere la pena.

Devi però ricordarti come si fa a stare tranquillo. Cioé, a forza di combattere prendi quell’abitudine e ti vien difficile anche solo immaginarti in uno stato rilassato – che assomiglia molto alla pace interiore. Ti rimane dentro quella cosa che ti soffrigge lo stomaco, stai in una sorta di guardinga allerta, ti aspetti da un momento all’altro che la tua tranquillità venga presa d’assalto da un nemico qualsiasi. Il più delle volte è così, quindi il nemico vince anche quando non c’è o quando è lontano o quando ancora non si è accorto di te. Assurdo.

Sì, l’abitudine alla guerra è una bestia maledetta.

L’unica cosa da fare è rimanere concentrati sull’obiettivo: rimanere tranquilli nonostante la maledetta imperversi in ogni dove. Un modo per proteggere il fortino è di non farla entrare in casa. Prevenire è meglio che curare (sarà poco originale ma è sempre vero). Ci sono situazioni che sai già ti manderanno a remengo tutto, lo sai già. Ecco, tirarsi indietro, girarsi dall’altra parte, in questi casi ti salva dalla catastrofe. Non apri la porta all’Apocalisse. La saluti dallo stipite e te ne torni dentro. Semplicemente.

Qualcuno se la prenderà a male? Pazienza. La vita è difficile per tutti. 

Il pericolo è che, a forza di combattere, tu stesso inizi a pensare che la vita sia tutta lì. Se cadi in questo black hole tutto quello che ti accade si trasformerà in un’impresa sfiancante, senza neppure che tu te ne accorga. La prendi male già da prima, la vedi già come una cosa che ti rovinerà le giornate, la vivi male a prescindere. Questo, la bestia maledetta, può fare. Bisogna farci attenzione.

Detto questo: mi sto aggrappando alle mie parole per ripristinare in me un approccio sano all’esistenza. Una guerra maledetta contro il già vissuto e il già visto che mi si è tatuato addosso negli anni.

Ecco, ci sono ricascata: non sei in guerra, diamine, non sei in guerra Babs!

 

 

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(867) Altezze

Arrivarci, magari, a certe altezze. Già. Ma poi cadi giù. Eh.

Allora ci si pone una domanda: ma ne vale la pena? E purtroppo la risposta è sì. Ogni tanto arrivare in alto fa bene, e per la discesa… bé, si impara anche a cadere, se lo metti in conto ci pensi prima. No?

La continua ricerca del brivido diventa dipendenza, ma anche l’ostinata ricerca della pace. L’ossessione non porta alla pace, questo è certo. Non capisco perché siamo così tormentati dal fatto che non abbiamo pace. Certo che non ne abbiamo, stiamo vivendo, mica siamo morti. La pace è dei morti. Il quotidiano infernale non ci permette sosta, ma neppure se scegliessimo di vivere tra le montagne nepalesi. Avremmo fame, sete, sonno e magari anche voglia di fare l’amore. Abbiamo un corpo, siamo qui per questo, per avere a che fare con il nostro corpo. Il corpo ha bisogno di provare, di sentire, di farsi attraversare. E poi tiene memoria. Credo sia in questa memoria che le cose si complichino. Come fai a tenere testa alle memorie? Non lo so.

Se il tuo corpo non ha mai conosciuto la fame, quella vera, non la puoi comprendere con la mente. Troppo grande per poterla immaginare. Se non hai mai conosciuto l’Amore, quello vero, non lo puoi comprendere con la mente. Lo puoi immaginare, ma non sarà mai vero, sarà una proiezione di te stesso e non è che abbiamo proprio una visione chiara di noi stessi (ammettiamolo), sufficiente a metterci al sicuro. Anzi. Significa che un Amore reale può spiazzarti, ti rende immediatamente vulnerabile, non potevi pensarlo così, il tuo corpo non si era mai fatto attraversare da quella potenza e tu… non ti riconosci come quella persona che hai continuato a frequentare per anni e anni e anni (con una certa assiduità, per di più).

Tutto molto semplice, tutto molto complicato, tutto molto doloroso, tutto incredibilmente affascinante.

Quindi ci si augura di arrivare ad altitudini imbarazzanti, pensandole e immaginandole e desiderandole come mai saranno, mai potranno essere. Perché la realtà è un’altra cosa, ma non è meno, è soltanto un’altra cosa. Dovremmo pensarla diversamente, guardarla diversamente, sentirla diversamente per poterla apprezzare per quello che è. Ognuno di noi trova il suo modo, non è una questione di giusto o sbagliato. L’importante, credo, è farci caso e prestarle attenzione. Sarebbe un peccato perdersi una cosa così magnifica soltanto perché ci siamo intestarditi a immaginare anziché vivere.

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(855) Indigeno

Significa: che è originario del luogo. Certi luoghi possono essere selvaggi, primitivi, non necessariamente per ragioni di vegetazione maestosa e fauna esotica. Ognuno di noi appartiene a un luogo, indipendentemente dalla terra che li ha generati. Indigeno è l’unico aggettivo che vorrei fosse preso in considerazione quando si tratta di Esseri Umani. Renderebbe tutto più semplice.

Essendo per battezzo forzato una straniera, mi sono ritrovata spesso a soppesare la sostanza della terra che mi porto dentro. Senza mai venirne a capo.

Ho cercato quindi, per ovviare al gap, di compattare quella terra per crearne un’altra, una che mi assomigliasse il più possibile. Tutto sommato ci sono riuscita. Non era ovvio. Non lo è mai. Ne scrivo perché non temo di perderla ormai, è con me da tanto e si è solidificata per bene, respira come un pianeta e ha cielo stellato quando il sole riposa, nuvole sparse e giornate di vento, qualche precipitazione sparsa, temporali da paura e limpide e tiepide giornate dove tutto scorre e non si fa caso ai dettagli. 

Ritrovo la stessa energia, che è stata scelta strategica, in diverse persone che incontro. Sono quelle dove trovo conforto naturale, senza forzature di contatto.

Lo consiglierei a tutti. Quando hai la tua terra dentro, non hai paura che qualcuno te la rubi, rimane tua. Sai che devi curarla e questo impegno ti può occupare parecchio tempo, tempo che altri impiegano per togliere il diritto alla terra a qualcun altro pensando che gli spetti (perché poi?). Se sei impegnato nella cura, nella costruzione, tutto quello che è distruzione perde di attrattiva. Se arriva qualcuno che ti dice “qui è tutto sbagliato, buttiamo giù tutto” gli molli un pugno sul naso senza neppure il bisogno di chiedere ulteriori informazioni sul suo piano di devastazione. Ti suona male. Ti suona ingiusto. La distruzione non è mai così motivata da giustificare il niente che ne consegue. Si può sistemare, aggiustare. Si può. La vita è una questione di aggiustamenti degli squilibri, sistemazione delle falle, non è un ricominciamo daccapo no-stop perché daccapo si può cominciare soltanto una volta, la prima. Poi basta. Ricominci ma già da una base di partenza. E poi non puoi far altro che aggiustare. E sistemare. 

La terra che ti porti dentro non la spazzoli via, neppure quando è solo un mucchietto di granelli. Lei non va da nessuna parte, non può che accumularsi e crescere. Sta a te darle una forma, quella che ti sembra più bella, e renderla il pianeta con cui respirare. Credo sia questo che qualcuno chiama pace dell’anima. O è soltanto qualcosa che le assomiglia molto.

Lo consiglierei a tutti.

 

 

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(840) Nebbia

Cade in silenzio, copre tutto, ma non fa scomparire nulla. Sai che appena si alzerà tutto sarà ancora lì dove i tuoi occhi lo hanno lasciato. Può addirittura comparire qualcosa che prima non c’era o qualcosa che prima non ti era così evidente. In fin dei conti la nebbia è una possibilità che ci viene data per sorprenderci ancora del mondo. Che è lì, che non se ne va soltanto perché è stanco di noi. E credo che il mondo sia stanco di noi. Credo.

Una delle storie che per prima si è impossessata di me, quand’ero alle elementari, parla di un ragazzino che cammina nella nebbia. Non vede niente, non sa dov’è e non sa che direzione prendere. Si ferma e inizia ad ascoltare quelle goccioline sospese che lo stanno togliendo dalla vita che gli stava attorno poco prima, forse per dagli un attimo di pace. Quel ragazzino pensava e soppesava ogni pensiero, sostenuto da quel torpore misto a inquietudine. Perché quando non vedi cosa ti sta attorno non è che ti senti proprio benissimo. Poi passa, la nebbia si solleva e lui ritorna al mondo. 

Ci sono periodi nella vita di ognuno dove la nebbia cade, prima tutto chiaro e poi di botto il nulla, non ci vedi più. E l’inquietudine comincia a crescere e il torpore si intensifica. Non ti riesci a muovere e i pensieri sono più pesanti, ti schiacciano, perché in quel silenzio, in quella sospensione, in quel non essere del mondo, diventano l’unica presenza su cui fare affidamento: ti devi concentrare su te stesso su cosa senti e non su quello che vedi.

Poi passa, com’è arrivata la nebbia se ne va. Il mondo si rifà presente, le distrazioni ti portano di nuovo un po’ distante da te – che mica è una brutta cosa – e ricominci a muoverti. 

Bhé, tutto questo discorso va a parare qui: la nebbia, come la pioggia, non è per sempre. Arriva e se ne va. Non sai il perché o il percome, è lei che decide. L’unica certezza è che non scompare nulla. Il che può essere un bene o un male, dipende da come la sai prendere. Il dettaglio fondamentale? Sei tu che decidi di esserci o meno. La nebbia non c’entra un bel niente. Sappilo. 

 

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(785) Angolo

Anche se “nessuno può mettere Baby in un angolo” (cit. Johnny in “Dirty Dancing”), spesso è Baby che si mette in un angolo. Lo fa per diverse ragioni, per lo più per essere lasciata in pace, per poter pensare senza intromissioni, per fare mente locale su dov’è, chi è, cosa deve fare, cosa vuole fare, cosa fa e sciocchezze del genere.

Baby in quell’angolo, quando ci si mette da sola, sta perfettamente. Se ce la costringono, è tutta un’altra storia.

Non reagisce subito, perché comunque da quell’angolo la visuale è interessante. Sempre. Chi ti ci ha messo pensa che te ne resterai lì in silenzio e che il suo problema (ovvero tu) sia archiviato, quindi non bada più a te. Questo Baby lo sa. Prende questa cosa e la sfrutta finché ne ha abbastanza e se ne va. Semplicemente così, ogni sacrosanta volta, con freddezza clinica e sempre con lo stesso risultato: la consapevolezza che spinge alla scelta e quindi all’azione. La strategia di Baby non solo funziona, ma non viene percepita come strategia da nessuno. Nessuno la guarda, in quell’angolo, nessuno la pensa in ascolto, in attesa. Nessuno.

Quando il quadro è stato esaminato a sufficienza, e una certa idea della questione se l’è fatta, Baby si alza e se ne va. Anche se Johnny non arrivasse (e quando mai arriva un Johnny che ti toglie davvero dall’angolo, ma va là!) lei sarebbe pronta ad andarsene a costo di strisciare, di scavare, di spiccare il volo, di saltare come uno stambecco anche se stambecco non è. In qualche modo Baby farà. Lo ha già fatto migliaia di volte e sa come fare, quindi lo farà.

“Nessuno può mettere Baby in un angolo”, vero. E quando Baby è davvero costretta all’angolo non è detto che ci resterà. Sarà lei a decidere “chi, quando, come, dove” (ma questa è Vivian in “Pretty Woman” che è la stessa storia ma senza mambo in mezzo e comunque finisce bene anche lì perché le donne cazzute in un angolo sanno sempre cosa fare e per chi ce le ha messe non è mai indolore, dopo).

Fuck.

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(757) Balle

Una certa pace mentale la raggiungi quando te ne fai una ragione. Se fino a un istante prima avresti preso a testate il muro pur di cambiare quella situazione, quando ti rassegni tutto cambia. Certo che rassegnarsi non è la soluzione, ma se il sentimento lo fai durare poco, quel tanto da poter shiftare in modalità me-ne-faccio-una-ragione, allora il grosso è fatto.

In soldoni si tratta proprio di prendere atto della realtà e, anziché combatterla, darla per assodata. Ora: non è che soltanto perché una cosa c’è, esiste, e ti sta schiacciando tu devi star lì a subire. No. Quella cosa che ti sta schiacciando non è lì per schiacciarti per sempre, ma da sola non se ne andrà. Se la spingi via non la sposti, se la fai saltare in aria vai in pezzi pure tu, ma se ti sposti… 

Devi soltanto spostarti. Facile? No, ma almeno non è un gesto impensabile, indicibile, impossibile! Ammettiamolo: spostarsi è alla nostra portata.

Ritorniamo ora alla pace mentale: quando sai com’è la situazione, quando sai che ti devi soltanto spostare, allora te ne fai una ragione. Non sei contento, non sei sollevato (non ancora), non sei sicuro di potercela fare, non sei incurante della fatica e del rischio, no. Sei nella condizione mentale in cui non puoi tirarti indietro perché sarebbe da idioti. Te ne fai una ragione e inizi a spostarti.

Un trick maledetto che ti fa posare tutto il resto – giustificazioni, mortificazioni, frustrazioni – e ti stabilizza in una condizione di ragionevolezza. Stop. La mente ci crede, il cuore ci crede, i nervi ci credono. Tu raccogli tutta questa consapevolezza e ti sposti. Mica dall’altra parte del mondo, basta soltanto di un centimetro.

Io di centimetro in centimetro ho percorso milioni di chilometri. Sembra incredibile, ma li ho contati tutti, uno a uno. Quindi se mi venite a dire che spostarsi è impossibile, vi posso tranquillamente rispondere – facendo ricorso a tutta la pace mentale di cui sono capace: balle.

 

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(746) Posare

Ci sono pezzi che trovano il loro posto soltanto dopo anni. Molti anni. Non fanno altro che girarti intorno, non capisci cosa diavolo vogliano da te, sei anche pronto a lasciarteli alle spalle, andare avanti come se non fosse più importante. Niente da fare, ti ronzano sotto il naso senza posa, senza pace – loro e tua.

Sono certa che certi pezzi non andranno mai a posto, orfani di ragioni o di possibilità, ma prima o poi si stancano e vanno comunque a posarsi in un angolo o nell’altro preferendo il silenzio. E sono quelli che riescono a fare più male.

Alcuni pezzi ti chiedono di fare il primo passo, devono essere sicuri che non li ritirerai fuori ogni tre per due una volta che si sono sistemati. Bisogna stare attenti con loro, la sanno più lunga di noi.

Mettere in ordine i pezzi è sempre una buona idea, anche se costa fatica e se piuttosto andresti in Alaska in bikini. Mettere i pezzi al sicuro dove nessuno li potrà toccare ti aiuta a stare tranquillo, sai che se ti perderai puoi sempre ritrovarli lì e loro ti sapranno rassicurare.

Certi pezzi vanno a posto da soli, sono quelli meno importanti – forse – quelli che ti hanno lasciato un segno più leggero degli altri. Loro non si fanno pregare, in autonomia si posano un po’ qui e po’ là e si fanno dimenticare volentieri, sanno che quello che ti dovevano dare ti hanno dato e che i conti si son chiusi alla pari.

Quelli più tosti sono i pezzi che portano con sé delle domande perché di risposte ce ne possono essere più di una e non sai mai se quella che hai trovato sia davvero la definitiva. Rischi di illuderti per poi vederti ribaltare dalla risposta successiva e – magari – ancora provvisoria. Perché, ammettiamolo, certe domande non hanno risposte, contengono soltanto altre domande. Senza fine.

Ho imparato ad aspettare, potenziando la pazienza, forse perché ho imparato ad affidarmi o forse solo per stanchezza. Non lo so. Nel dubbio mi poso, guardando l’orizzonte sperando in un cielo di nuvole che corrono col vento che non ha posa.

 

 

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(730) Occhiali

Ultimamente mi sono dimenticata di indossare gli occhiali rosa. Esistono solo nella mia testa, ma mi sono stati utili in diversi frangenti, soprattutto quando il sole era troppo o il freddo era troppo o lo schifo era troppo. Il troppo vestito di rosa viene smorzato e si trasforma in sopportabile. Gioco scemo eppure efficace.

Sopportare significa che non ti va bene, ma proprio non ti va bene, però ti rendi conto che lo devi attraversare e che devi trovare un modo decente per farlo. Son passata di troppo in troppo e non ho avuto il tempo di cercarli, quei dannati occhiali rosa, li avevo appoggiati chissà dove e me li ero dimenticati quasi del tutto. Fino a oggi.

Oggi mi sono resa conto che ne avevo bisogno. Il troppo di questi ultimi tempi non è stato nulla di tragico, nulla di devastante, ma il troppo rimane troppo. E c’è bisogno di fermarsi, c’è bisogno di riflettere, c’è bisogno di smorzare l’intensità perché gli occhi sono stanchi.

Ho un talento per la sopportazione, ma non è affatto una caratteristica positiva. Ammiro chi non sopporta e reagisce in modo da non subire  situazioni che sono oggettivamente intollerabili – per diversi motivi. Io penso sempre che, prima di reagire con decisione, devo arrivare al punto che il troppo sia colmo. E ci arrivo, altroché se ci arrivo, ma ci arrivo sfinita. Ecco, vorrei riuscire a fare diversamente. Mi spingo sempre oltre ogni limite e poi crollo e stacco.

Gli occhiali rosa oggi li ho indossati per guardare tutto quello che in un anno ho attraversato e quanto la mia sopportazione abbia creato e bruciato dentro e fuori di me. Sono rimasta allibita. Ho fatto diventare quel troppo enorme e ho sopportato innanzitutto quella me che attraversava il troppo esagerato come se fosse parte del pacchetto all-inclusive. Evviva. No, davvero, sono veramente troppo avanti. Un genio.

Dovrò sforzarmi d’ora in poi di essere meno genio o camperò ancora poco. Dovrò sforzarmi di avere una voce più decisa, anche quando la voce mi mancherà del tutto. Dovrò sforzarmi di crescere, molto probabilmente. Non mi piace pensare che dovrò forzarmi a fare diversamente, ma naturale non mi viene di certo pertanto sarà bene che io mi ci metta d’impegno. Sì, è arrivato il momento di ripensare al come di ogni mio silenzio per fissarlo con pesi differenti. Ho attraversato un onorevole numero di troppo, mi posso pure accontentare di un abbastanza e sopportare il giusto e darmi pace il giusto lasciando andare il giusto.

I toni accesi mi hanno sempre dato noia, dopotutto. Meno genio e più concretezza, perdio!!!

 

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(648) Panorama

Cosa vedi fuori dalla tua finestra? 

Questa domanda mi ha accompagnato per oltre trent’anni, mi ha guidata e mi ha dato la forza di non fermarmi in luoghi dove non c’erano finestre o dove il mio sguardo non potesse spingersi oltre. Difficile da spiegare, ma è esattamente così che ho vissuto in questi anni.

Non l’ho mai detto a nessuno, non l’ho mai usato per giustificare certe mie decisioni e certe mie partenze, non l’ho mai sottovalutato e non l’ho mai zittito: ho lasciato che mi facesse strada, che si prendesse cura di me. Lo ha fatto.

Ci sono stati momenti di finestre sbarrate, di pareti cieche, di panorami squallidi e cieli bui, ma sono stati momenti perché ho agito e mi sono spostata, ho preso in mano la situazione e ho cercato un cielo meno cupo, un panorama più vasto, aprendo la mia finestra per respirare. Non sono mai ritornata indietro, sempre avanti. Senza rimpianti per di più.

Credo sia importante chiederci cosa riusciamo a vedere dalla finestra, quanta vita riesce a passare da lì per incontrarci? Credo sia fondamentale. E cercare il panorama che fa per noi, quello che ci mette in pace con le nostre storture e le nostre tristezze è un dovere oltre che un nostro diritto. Comporta un po’ di sbattimento, sì, certamente sì. E un po’ di disagio interiore, sì lo posso confermare. Ma non importa. Non importa. Non. Importa. Tutto questo serve.

Quando non ci sono finestre non c’è luce, non c’è respiro. Se chiudiamo le nostre finestre smettiamo di sentire il mondo per finire ad occuparci soltanto di noi stessi mettendo in pericolo la nostra mente, il nostro equilibrio. Se poi c’è chi trova l’Illuminazione ritirandosi a vita monastica, buon per lui. Per chi è come me non funziona. Quando sono in un luogo senza finestre so che quel luogo non è il mio. Non funziono senza poter spingere il mio sguardo oltre la finestra, mi si blocca tutto. Non so spiegarlo, ma così è. E così mi basta.

Amen.

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(480) Zanzare

Sono zanzare tutti gli atroci fastidi che ti saltano addosso mentre tu ti stai godendo un angolo di santapace che hai costruito con pazienza e amore e che ti auguri possa farti bene. Sai che sarà breve, che sarà solo un blando tentativo di riposo, metti pure in conto che al telefono dovrai rispondere se proprio è urgente… eppure ti illudi sempre, SEMPRE, che le zanzare ti ignoreranno per quei tre minuti tre in cui ti ritiri in te stesso.

Ti sbagli.

Le zanzare annusano il tuo intento da lontano, anche fossero su Plutone lo sentirebbero forte e chiaro e tu non ci puoi fare nulla.

Le zanzare sanno che, grazie alla tua ostinazione, riuscirai prima o poi a ritagliarti quello scampolo di pace e ti aspettano al varco. Le zanzare sanno essere tanto pazienti (ben più di te) quanto implacabili (ben più di te).

Le zanzare non se ne andranno soltanto perché tu glielo chiedi o glielo imponi. Neppure se le implori. Le zanzare pensano di essere dalla parte della ragione e vogliono che tu abbracci la loro visione senza fare storie. Se le fai, sappi che avrai la peggio perché il fastidio durerà molto più a lungo di quanto da loro preventivato. La questione principale è che alle zanzare tu servi e finché non ti arrendi e dai loro ciò di cui hanno bisogno, loro non molleranno. Mai.

Le zanzare hanno nomi e cognomi, le zanzare sono dentro alla rubrica del tuo telefono, vivono ovunque e vogliono sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che guarda caso ti coinvolge, anche se tu lo ignori. Le zanzare non dormono mai, al massimo si rilassano aspettando il momento giusto per colpire, le zanzare si riposano mentre tu sgobbi e imprechi per risolvere i loro affari e intanto pensano a qualche nuovo fastidio da consegnarti appena poggi il sedere sfinito e frustrato.

Scordati la tua pace. Le zanzare sono qui per te e per sempre.

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(441) Stasi

Non te ne accorgi subito, perché gli ultimi metri li hai percorsi per inerzia, ma quando ti rendi conto che qualcosa non va come dovrebbe allora non puoi che dichiarare ufficiale la tua stasi emotiva e augurarti che non sia la stasi definitiva.

Sì, sì, va bene, lo sanno tutti che i cicli della vita prevedono nascite-crescite-declini-morti-rinascite-ricrescite-rideclini-rimorti e via di questo passo, ma non è che puoi essere proprio certo che ce ne sarà un’altra di rinascita e neppure che ce ne sarà un’altra di rimorte. Darlo per scontato è da idioti, pertanto si vive l’attuale stasi come se fosse quella definitiva. In questa condizione mentale, inutile negarlo, le cose non possono che peggiorare.

Più temi che sia la fase finale della tua vita emotiva e più questa sembra scivolarti tra le dita e la senti sempre più debole, sempre più incolore, sempre più qualcosa-di-brutto e ti deprimi. La depressione non aiuta la ripresa, rafforza la stasi (è risaputo).

Qui si potrebbe tentare col defibrillatore, ma le autoanalisi, le autocritiche, le auto-qualsiasi-cosa non portano a nulla. La realtà conta e quella ti dà torto, su tutta la linea. Certo, se sei devoto ti voti a un Santo o all’altro, se pensi di essere una pia persona ti rivolgi direttamente ai piani alti, se dubiti di avere Santi in Paradiso ti attacchi alla Scienza e se anche quella ti volta le spalle ti attacchi alla bottiglia – che a suo modo è Scienza pure quella.

Però, se sei astemio e il mal di testa te lo vuoi evitare, che fai? Ti godi la Pace. E se sei abbastanza bravo da raccontartela bene, poi, ci pensi due volte a rimetterti nel marasma emotivo che ti spacca il cuore. Aspetti che ne valga veramente la pena, e speri in cuor tuo che non arrivi mai la volta buona. Ecco perché, in un certo senso, questa potrebbe essere la mia ultima e definitiva stasi emotiva. Yeah.

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(264) Ritrovare

Quando ritrovi un oggetto che temevi sparito per sempre è una gioia. Quando ritrovi una persona a cui tenevi molto e pensavi che il tempo ormai avesse cancellato le tracce del legame d’amicizia è proprio felicità. Capita raramente, a me è capitato un paio di volte. Oggi la seconda.

Non è vero che scrivo solo quando sono misera e infelice, voglio scrivere anche quando sto proprio bene. Infatti sono qui per condividere questo piccolo miracolo che oggi mi è accaduto.

Non è stato un caso fortuito, l’ho cercata io e lei si è fatta trovare. Come se non fosse trascorso neppure un mese, anche se in realtà si tratta di anni, molti anni. Lei sempre la persona cristallina e autentica che amavo, questo è il vero miracolo in realtà. La sua capacità di rimanere fedele a se stessa, riconoscibile a occhi chiusi, così bella.

In quest’ultima settimana dove son volate cose pesanti, oggi è stato come se mi avessero ridato le ali. Ho intenzione di tenermele strette, queste ali, si affronta meglio il cammino quando puoi sollevarti un po’ e dare pace ai piedi.

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(193) Universo

Ognuno ha diritto a crearsi il suo personale universo e di essere, per questo, lasciato in pace. Un universo è cosa delicata, cosa privata che deve essere protetta altrimenti si sciupa.

Non dico che dev’essere un segreto, ma quasi. Dentro all’universo succedono cose che non si possono dire perché non ci sono parole abbastanza lucenti per farlo bene. E se non lo puoi fare bene allora lascia perdere, non farlo e basta. Pensalo, sognalo, guardatelo in silenzio come se fosse una preghiera. Ma tienitelo per te.

Insegnare alla gente che un universo si deve rispettare – di qualsiasi universo si tratti – è una partita persa. Non è neppure colpa loro, non riescono a guardarli e basta gli universi degli altri, devono per forza metterci il naso e il giudizio e tutto viene sporcato e gli universi, si sa, sono permalosi, possono anche decidere che implodono e boom. Più niente. Niente universo, niente luccicchii, niente di niente.

Buco nero, si chiama. Un buco nero non è la fine, è solo un condensato di universo che è imploso e che per ri-uscire allo scoperto deve essere convinto. Ci vuole una pazienza santa e tanto amore per riuscirci.

Teniamo lontana la gente dal nostro universo o il buco nero risucchierà anche noi. E non è per niente bello. Fidatevi.

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(171) Pace

Il diritto sacrosanto di starsene in pace è sistematicamente calpestato dal quotidiano (e da chi si attiva per metterlo in essere). Puoi anche organizzare tutto per filo e per segno, il tuo piano naufragherà: puoi dire addio al tuo diritto di startene in santa pace.

Non voglio farla troppo tragica, ma è fastidioso rendersi conto che a nessuno frega niente della tua pace interiore, e cosa peggiore di tutte: neppure a te. Se così non fosse staresti più attenta e non ti faresti ingabbiare sistematicamente dalle menate degli altri e… staresti in pace.

Che uno non pretende sempre, ma di tanto in tanto sì. Altroché.

Poi siamo nervosi, incazzosi e abbiamo voglia di spaccare la faccia a qualcuno. Il primo che passa, non fa differenza, tanto ormai la pace è andata a farsi benedire, che importa?

Ecco, il mio impegno ora voglio che sia focalizzato proprio in questo: riappropriarmi del mio sacrosanto diritto di starmene in santa pace. Comincio domani.

 

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(167) Contemplazione

Mi capita spesso, ma il mio contemplare non include il silenzio del pensiero. Ogni volta che ci provo mi innervosisco. La questione dello stato mentale nel quale la calma si stende sul pensiero per farti entrare in una dimensione di pace e tranquillità per me è impraticabile.

Io vago nel caos dei pensieri, pensieri che vanno in loop e che piuttosto di fermarsi si sfondano di tip-tap. Il ticchettìo incessante della loro danza mi impedisce di sperimentare l’immobilità. Tutto quello che mi costringe all’immobilità mentale mi risulta insopportabile. Mi vien voglia di tirare calci.

C’è chi ha cercato di convincermi che dovevo imparare quanto una condizione di pace/silenzio della mente può far bene al mio equilbrio. Ammetto che non ho collaborato, non sono programmata per affrontare questa cosa.

Zompare, caracollare, strampalare. Questo so fare benissimo, questo farò.

Tiratevi da parte se non volete rischiare di essere travolti dalle mie acrobazie: sono imprevedibile e pericolosa.

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