(941) Omologarsi

Ancora non l’abbiamo capito, ma decidere di omologarsi a un ideale che per natura non ci aggrada ci rende la vita un inferno. Pensiamo che così facendo ci eviteremo discussioni e scontri con chi ci sta attorno, invece decretiamo la nostra morte cerebrale. Giorno dopo giorno, senza fine fino alla fine.

Nessuno ci verrà mai a dire: “Smettila, ritorna com’eri, padrone di te stesso e delle tue scelte”. Nessuno.

Quelli più fortunati ricevono una bella botta in testa e rinsaviscono, rendendosi conto di quanto quella loro vita priva di scossoni sia una bella bara che non porterà a grandi sorprese o emozioni sfavillanti, mai. Proprio mai.

Da questa riflessione potrebbe scatenarsi una vitale ripresa dell’Anima, che approffittandosi dello spiazzamento neuronale si rialza e ci fa fare una pazzia. Una di quelle che ti cambiano tutto, migliorano il tuo umore, la considerazione che hai di te stesso e la voglia di credere che sta a te decidere cosa e come apparecchiare i tuoi anni. Da subito.

L’omologazione a un’idea, a uno status sociale, a una visione dell’oggi e del domani è un deresponsabilizzarsi, un delegare a qualcun altro doveri e anche diritti che sono soltanto due facce della stessa medaglia. Medaglia che parla di te.

Se vuoi sapere quanto ti sei omologato a quel che hai attorno, prova a chiederti di cosa potresti fare tranquillamente a meno. E aggiungi nelle opzioni anche te stesso, così sarà più interessante scoprire chi vince.

Siamo una specie che ha fatto dell’adattarsi la regola base per la propria sopravvivenza, ma forse abbiamo esagerato. Forse pensiamo che sia più importante sopravvivere e farlo più a lungo possibile, piuttosto che rimettere in pista il proprio cuore ogni mattina e spingerlo a prendersi quella vita che non è mai ovvia, mai banale, mai come tutte le altre.

Forse non è così.

Forse si può fare di meglio.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(894) Riposo

Finché non è Eterno va bene. Eterno è un po’ troppo estremo, non mi va di pensarci ora, ma un giusto riposo tra un pezzo di vita e l’altra credo sia cosa da fare. Me lo continuo a ripetere: riposare non è un fermarsi per sempre. Poi si riparte, si riprende il ritmo, si va va va va finché non sei esaurita (magari anche un po’ prima) e poi ti ri-fermi un altro po’.

Perfetto. Non fa una grinza. Eppure quando lo faccio mi parte una saetta di senso di colpa che faccio fatica anche a raccontarlo. Una roba da non crederci.

Saranno i diecimila libri che mi stanno aspettando, le diecimiliardi di storie che voglio raccontare, i diecimilamilioni di posti che vorrei esplorare… non lo so. Mi urlano tutti quanti in coro: S-V-E-G-L-I-A-T-I!

Riposare così vien difficile no?

Una volta mi sono pure fatta una lista di tutte le cose che potrei fare mentre mi riposo… ci rendiamo conto? Non serve aggiungere altro.

Il punto è che davvero il corpo ha bisogno di riposo e anche la mente. Che quando sono in overdose mi sembra tutto più enorme e incombente di quel che è davvero. Mi sento debole e da buttare.

E allora perché non mi do pace? Neppure per un weekend?

Ecco, bella domanda. Bella bella bella domanda. Magari un giorno troverò la risposta. Posso al momento solo valutare che questo mio bisogno di rifletterci presuppone un bisogno più profondo: cambiare strategia. Anziché annientarsi di fatica (ritrovarsi col cervello obnubilato alla fine non è una gioia), sto valutando a delle opzioni diversificate, meno estreme. Meno da Eterno Riposo, ecco.

Non le ho ancora messe tutte bene in fila davanti a me per guardarmele meglio, ma arriverò a farlo e mi farò una bella ragionata e forse, dico forse, attuerò un cambiamento. Piccolo, neh, però sempre cambiamento sarà.

Augh!

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(249) Pietre

Ci sono parole che ti arrivano come pietre. Se ti colpiscono, se non riesci a schivarle, se senti il dolore, allora quelle pietre fanno la differenza. Non ne vuoi più e quindi due opzioni ti si parano davanti: o impari a schivarle o eviti chi te le sta lanciando.

Io evito.

Questo può essere letto in molti modi, come arroganza o come vigliaccheria o come che-ne-so-io, ma il motivo è semplice: schivare le pietre mi stanca. Stare sul chi va là continuo, mi stanca. Quel tipo di mortificazione mi stanca. Convincere il mittente a smetterla di tirarle è inutile – in generale è inutile prodigarsi per far cambiare idea a qualcuno che ha voglia di tirarti le pietre. Lo farà comunque, anzi, sempre più convinto che fa bene a farlo visto che le ricevi così male.

Il vecchio Antoine aveva ragione, non ha importanza che tu sia bello/brutto buono/cattivo comunque pietre in faccia prenderai, pertanto sta a te decidere: resti o te ne vai? Ecco, io me ne vado. Grazie.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF