(727) Estensione

Mi piace creare collegamenti, estensioni di pensieri-relazioni-progetti. Lo faccio in modo naturale, non ci penso e non faccio calcoli, eppure quando sono coinvolta collego le cose, le persone, le occasioni, le opportunità. Spesso viene bene, a volte non troppo, ma niente di irreparabile.

Quando ero più giovane, e più entusiasta delle cose e delle persone, non vedevo l’ora di trascinare tutti nelle mie passioni e nei miei interessi del momento, rischiavo di risultare piuttosto invadente, ma avevo molti amici con cui condividere il mio mondo e si lasciavano trasportare volentieri – fino a un certo punto, poi mi mandavano al diavolo (ma senza cattiveria). Tanto per far capire il tenore delle mie uscite: una volta organizzai un corso di ballo liscio e li costrinsi a parteciparvi in gruppo… fu molto divertente vederli impegnarsi tra mazurke e polke e valzer e tanghi, mi fu poi impossibile convincerli a seguirmi nelle sagre paesane a ballare in pista. Rimasero miei amici nonostante tutto e non è poco.

Quindi, andando per logica: se mi piaceva ballare cercavo il modo di ballare con i miei amici. Per estensione mi aspettavo che loro lo facessero non perché amici miei ma perché piaceva ballare anche a loro almeno quanto a me piaceva. Follia. Ecco, non lo faccio più, sono diventata più sensata e moderata e tengo per me fisse e ossessioni – passeggere o durature che siano – senza pretendere da chi mi sta attorno particolare entusiasmo al riguardo.

Ammetto che smettendo di fare la rompipalle, e vivendomi le cose in privato, a volte mi manca “quel” modo di spartire il divertimento con gli altri. Per estensione, va da sé, questo mio restare-nel-mio comporta una certa solitudine. Per estensione questa solitudine ha trasformato il divertimento in soddisfazione perché non c’è nessuno che mi rovina la festa (con lamentele e critiche inopportune). Per estensione, quel che ho combinato da adolescente lo rifarei un milione di volte, ma non mi cambierei per nulla al mondo con quella squinternata perché la mia attuale condizione è di gran lunga più equilibrata.

Ora che ho posato gran parte delle scioccherie, posso estraniarmi dal resto del mondo e, per estensione pure da me stessa, e lanciarmi ad occhi chiusi in quei piccoli universi dove scoprire variegate profondità diventa nutrimento. E basta, una volta per tutte, dare perle ai porci. Senza cattiveria, neh, ma quando ci vuole ci vuole. Eh!

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(652) Farina

Indispensabile, ci ha permesso con un pizzico di creatività e di pratica di sopravvivere per millenni. E chi lo avrebbe mai detto che lo avremmo fatto così bene? Che avremmo imparato a usare la farina per alzare il livello di mera sopravvivenza a livello gourmet 2.0? La storia che ci racconta la farina ha dell’incredibile, secondo me, e non finirà mai.

Pensando a tutto questo, non so come sono arrivata a pensarci perché non ricordo da dove sono partita, ho iniziato a valutare quanto quello che poi facciamo nella nostra vita sia impastare la nostra farina – fonte di nutrimento in trasformazione – per farne qualcosa che risulti: buono, sostanzioso, diversificato. Ognuno di noi ha la sua ricetta per arrivare al risultato che più gli pare, dandosi la possibilità di risistemarla a seconda della necessità, dell’occasione, delle possibilità. 

Provo grande ammirazione per chi si è impastato per bene la propria esistenza, golosa di carpire segreti che mi sono ancora preclusi e che potrebbero aiutarmi a fare meglio. A volte, sotto, ci sono dei piccoli atti coraggiosi che potrebbero passare inosservati ai più e che hanno saputo creare un ambiente ideale per nuove e fortunate situazioni. L’importante è tirarsi su le maniche, alla farina aggiungere acqua e altri ingredienti che sappiamo indispensabili (sale, lievito ecc.), e di buona lena impastare. Farlo noi, non farlo fare a un robot. Farlo noi, metterci la nostra forza, la nostra volontà, la nostra tenacia. Sappiamo farlo, sappiamo come farlo, dobbiamo solo scavalcare due metri di pigrizia atavica, e che sarà mai?!

La ricetta ce l’abbiamo, non usarla sarebbe un vero peccato, no? 

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(285) Beccare

Qua e là. Ho fatto così nella mia vita, ho trovato cibo neuronale (non troppo, mai troppo, scherziamo?) un po’ qua e un po’ là e finché mi nutriva ho continuato a beccare. Quando non ce n’era più, o non mi interessava più, cambiavo il qua e anche il là.

La Cultura (con C maiuscola) è altro, me ne rendo conto, ma nutrirsi di quel che c’è (anche augurandosi di meglio e quindi cercando di meglio) è stato il mio modo di crescere… se non in Cultura, in consapevolezza. Per quello che è il mondo, per come è il mondo, per quanto il mondo offre e toglie.

C’è ancora molto da beccare, per me, e non so se mi basterà una vita, ma sono sicura che finché terrò stretta questa filosofia avrò una possibilità di accrescere in consapevolezza. Della Cultura me ne occuperò nella prossima esistenza, mica posso fare tutto e tutto insieme!

 

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(230) Nutrimento

Riuscire a bastare a noi stessi è una bella sfida. Il nutrimento che possiamo ricevere da un altro Essere Umano/Essere Vivente può dissolversi in un istante. Anche senza ragione, anche senza colpe o responsabilità. Succede. E quello che fino a un minuto prima ti ha nutrito ora ti lascia il vuoto.

Il vuoto non è che sta lì in silenzio e si fa i fatti suoi, no. Il vuoto inizia a divorarti e lo fa a suo piacimento. Può durare molto a lungo, tu non lo puoi sapere quando si fermerà, quando sarà finalmente sazio. Non solo ti manca il nutrimento, ti manca la tranquillità per correre ai ripari, per iniziare a guarire. Crudele.

Allora decidi che devi imparare a bastare a te stesso, per evitare che succeda ancora e ancora e ancora. Un loop maledetto, inarrestabile. Maledetto. Maledetto. Maledetto.

Ci ho pensato molto negli anni, nei miei alti e bassi, nei miei pieni e nei miei vuoti, e mi sono chiesta cos’è che mi manca per riuscire a ottenere quell’equilibrio che mi permetterebbe di bastare a me stessa. Cosa?

Non lo so. Proprio non lo so.

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