(949) Posa

A volte ci viene chiesto di metterci in posa affinché qualcuno ci possa scattare una fotografia mentale che diventerà il suo imprinting per far sì che noi, immortalati per sempre, non potremo più sfuggire da lì.

Ci capita più sovente di quel che pensiamo, spesso non ce ne accorgiamo se non dopo tanto tanto tanto  tempo che siamo stati congelati in quel gesto o in quel pensiero o in quel dettaglio. Quando ci arrivano le conseguenze spiacevoli, solitamente (e quelle arrivano sempre).

Il punto è che metterci in posa per la foto ci costa fatica, perché è un artificio e – se non sei un bel talento nella recitazione – l’artificio si sgonfia con nulla, basta una distrazione e puf… esci con gli occhi chiusi. Maledizione!

Vivere tutto il giorno in posa è una follia, credo sia impossibile per chiunque, anche per il più sgamato. Quindi di prassi veniamo colti di sorpresa e siamo ricordati per cose assurde che di noi qualcuno ha colto e che noi ignoriamo. Ma come? Non ti sei accorto del mio cuore enorme? No, ma sono sicuro che hai il naso che pende a destra… [delicatezze di questo tipo, intendo]

Diamo per scontato, allora, che nella testa degli altri (“perché gli altri siamo noi”  cit. Tozzi 1991) siamo qualcosa di talmente assurdo e diverso da come noi intendiamo noi stessi che a volte sarebbe meglio non saperlo. L’ignoranza è beata, lo dicevano i nostri nonni.

Bisognerebbe non farci caso, bisognerebbe essere fatti soltanto di luce e non di ombre così le foto uscirebbero bruciate… bisognerebbe fare qualcosa, lo so. Forse è meglio, però, non fare niente. Mandare al diavolo le pose e le foto e i fotografi e viverci serenamente perché tanto ogni originale è meglio di qualsiasi immagine mentale o reale che possa mai essere scattata.

Nei pregi e nei difetti, ovviamente.

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(887) Partire

Ammetto che, a volte e sottolineo a volte, partire per la tangente mi viene facile. Me ne accorgo tardi, quando già sono in viaggio, e tirare il freno a mano diventa pericoloso. Un testacoda letale.

Devo quindi monitorarmi quando i primi sintomi si fanno sentire. Io li riconosco, ma non sempre ho voglia di fermarli. Un maledetto diavolo me lo impedisce. Mi sussurra: “Dai, vediamo dove ti andrà a far sbattere la testa questa volta!”. Lui si diverte, io un po’ meno, ma la curiosità mi rimane. Quindi due volte su tre parto.

Pessima idea. Ma parto.

Durante il viaggio può davvero succedere di tutto, ma una cosa è certa: che io abbia torto o ragione il risultato non cambia. Per rimettermi in piedi mi ci vogliono almeno due/tre settimane buone. Non sto scherzando. La ripresa si è allungata a dismisura con l’età avanzata. Un dato che dovrebbe obbligarmi a usare un po’ di discernimento e a tirare quel dannato freno a mano. Sì, consapevolezza onorevole e del tutto fuori luogo con me. Sono senza speranze.

La curiosità di dove andrò a sbattere, di volta in volta, il naso è troppa. E non mi chiedo mai se ne valga la pena, se non sia uno spreco di tempo ed energia, se non sarebbe forse il caso di trovarmi un innocuo hobby su cui concentrarmi. Mai. Partire rimane sempre la cosa più interessante a cui riesco a pensare. E la tangente, bé, quella non è mai la stessa pertanto il panorama cambia. A volte è una superstrada, altre un vicoletto chiuso, ma la sorpresa qui e là la trovo sempre.

Sì, l’ho già detto, sono senza speranze di rinsavimento prima dei novant’anni.

E poi si vedrà.

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(847) Neologismi

Oggi mi sono persa nei meandri di un sostantivo che mi motiva parecchio: opportunità. 

opportunità s. f. [dal lat. opportunĭtas-atis]. – 1. [l’essere opportuno: sostenerel’o.diunprovvedimento] ≈ adeguatezza, appropriatezza, convenienza, pertinenza. ‖ necessità, utilità, vantaggio. ↔ inadeguatezza, inopportunità, intempestività, sconvenienza. ↑ dannosità. 2.[circostanza opportuna, favorevole: averel’o.difarequalcosa] ≈ adito, destro, occasione, possibilità, spazio.

Per quanto mi riguarda interagire con una persona opportuna è una benedizione. Non è affatto facile esserlo, bisogna fare attenzione agli spazi e ai tempi (nostri e degli altri).  Mirabolanti acrobazie per il 99% delle volte. Eh.

Passo oltre: l’opportunità – dal mio punto di vista – è quella cosa che si discosta dalla semplice occasione perché porta in sé una crescita. Se la prendi al volo ti porta del bene. La vivo così. Mi sono sbagliata spesso confondendo le opportunità con quelle che erano soltanto delle occasioni, ma non mi sono mai sbagliata quando ho deciso di raccogliere per vedere dove mi avrebbero portato. Hanno una voce suadente, sono delle bellissime sirene, non puoi far finta di nulla. 

Ok, detto questo, mi sconvolge enormemente (sono una dalle facili enfasi, ormai lo sapete) come nella nostra splendida lingua italiana si passi dal positivo opportunità al negativissimo opportunismo :

opportunismo s. m. [der. di opportuno, sull’es. del fr. opportunisme]. – 1. [comportamento di chi sfrutta spregiudicatamente le opportunità del momento] ≈ ‖ camaleontismo, funambolismo, [in politica] trasformismo. 2. (estens.) [spec. in competizioni sportive, capacità di saper cogliere e sfruttare il momento opportuno] ≈ tempismo.

Sfruttare spregiudicatamente le opportunità del momento, e molto probabilmente, creando danno a qualcuno… che pessimo talento, n’evvero? E qui scatta la confessione: il mio annusare le opportunità per muovermi in sintonia con esse (ho usato esse, devo essere proprio ispirata, santidddddio!) è stato molto spesso scambiato per opportunismo sebbene io non mi sia mai permessa – e se dico mai lo dico perché è proprio mai – di creare danno a qualcuno. Mai. Negli anni scorsi m’ha fatto molto soffrire questo giudizio che si trasformava istantaneamente in condanna. Poi ho capito che non condannavano tanto il mio muovermi per acchiappare le opportunità al volo, quanto il mio coraggio di muovermi per tentare di acchiapparle. Ci vuole coraggio per lanciarsi sperando di prendere l’opportunità giusta, quella capace di farti crescere. Io ce l’ho di natura questo coraggio, ma mi sono accorta soltanto in questi giorni che manca un verbo opportuno per definire questa cosa qui, ovvero: opportunità+coraggio = ????

Per-l’amor-del-cielo, ‘sto coraggio m’ha fatto frantumare ossa e naso parecchie volte, ma niente mi ha mai fermato. Un’opportunità, se hai il coraggio di misurarti con onesto sentire, ti porta sempre un po’ più in alto. Innalza la tua vibrazione, la conoscenza di te stesso, la percezione del mondo e di te che ti muovi nel mondo, col mondo, anche in opposizione al mondo intero – se servisse – non importa quali siano le conseguenze. Voli alto.

Ok, non sono malata di opportunismo, ma di OPPORTUNAGGIO. La qualità – si tratta di un valore positivo – di afferrare con audacia un’opportunità che senti ha potenziale, che potrebbe farti volare. Non è detto succeda, ma potrebbe succedere. E quando succede, tu voli. Poi l’atterraggio è quel che è, magari ti tocca farne uno di fortuna e ti maledici per il tuo azzardo… ma non te ne penti. Sei pronto a rifarlo ancora. Non te ne potrai mai pentire perché lo hai fatto, non lo hai soltanto pensato, non lo hai soltanto sognato, non te lo sei ripromesso per poi tirarti indietro. Lo hai fatto. Basta. Puoi morire tranquillo.

Opportunaggio. Fateci caso, funziona.

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(784) Ricaduta

La ricaduta è quella cosa che ti capita il giorno dopo che hai scritto un post intitolato “Ripresa”. In pratica è la vendetta del karma, che ti fa presente che non è mai detta l’ultima parola, che chi ride bene ride ultimo [ed è sempre il karma quello che ride per ultimo] e che mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Conclusione: ben mi sta.

Il raffreddore oggi s’è fatto protagonista, con grande gioia dei colleghi che dribblavano i miei starnuti con grande stile. Li ho amati tanto oggi per non avermi defenestrata. Davvero tanto. Io stessa non mi sopportavo più.

Riprendendo la saggezza popolare di qualche riga più sopra, succede che quando pensi di aver raggiunto il top del minimo zaaaaaaaaaaaaaaak t’arriva la prova che mancava ancora un pezzetto. Non moralmente, stavolta, ma fisicamente sento la botta. La parte positiva è che posso riderci sopra perché i pensieri cupi sono passati, nella sfiga la fortuna. Eh.

Sembrerà stucchevole, ma quando sei nel baratro, anche il minimo miglioramento fa la differenza. Per questo motivo chi ha sofferto apprezza con più intensità gli attimi felici. Quando non hai nulla, ogni cosa bella che ti arriva è una festa. E non lo dico io, è proprio Legge dell’Universo.

Per questa logica, dal mio punto di vista, augurare a certa gente gretta, avida e meschina una secchiata di sana miseria significa aprire loro le porte della felicità. Sì, la mia compassione sa arrivare a tanto.

Ok, naso tappato, post pieno di stronzate, penso di essere arrivata anche per stasera al capolinea. Auguro a tutti la buonanotte e vado ad affrontare col vicks vaporub la mia oscurità che so mi sta aspettando pronta per divorarmi. Amen.

 

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(768) Vetrina

Si mette in mostra il meglio di sé sperando di vendersi. Questa dovrebbe essere la regola. Se lo fosse sarebbe tutto chiaro. Compri non solo quello che vedi – presumibilmente il meglio – ma anche quello che ci sta sotto e sopra, dentro e dietro.

Non funziona così, però, perché non sempre oltre quello che vedi c’è dell’altro. E se fosse solo un bene o solo un male sarebbe tutto molto più semplice. Eppure, se compri soltanto quello che vedi e c’è potrebbe non bastarti, se compri anche tutto quello che non vedi – nove volte su dieci – ti maledici per non averci pensato almeno mille volte prima di portartelo via. Tirando le somme: mai una gioia.

Poi ci sono quelli come me, e qui – modestamente – si aprono le voragini dell’inferno. Chi non ci ha mai puntato nulla su quello che stava mettendo in vetrina: per insicurezza, per incapacità strategica, per impossibilità reale o immaginata, per pigrizia, per indolenza e per qualsiasi altra ragione. In ogni caso, alla fine dei conti, sempre uno sbaglio. Enorme.

Concentrarsi su tutto quello che sta sotto, sopra, dietro, in parte, probabilmente per chi è fatto della mia stessa pasta, è prioritario rispetto a ciò che sta mettendo in vetrina. Per la serie: non capire un cazzo. Lo dico ora, ora che è tardi per mettere in mostra il meglio perché – evidenza dei fatti – è svanito con il passare dei troppi anni e delle vicissitudini maledette della vita. Infatti, ci ho riflettuto solo ultimamente. Voglio dire, ero così impegnata con le millemila idiozie che mi riempiono il cervello che la cosa più ovvia m’è passata sotto il naso e io… niente. Girata dall’altra parte.

Mi sorprendo sempre di quanto il mio “vedermi” fuorvia il 99% del mio “vivermi”. Considerato che la mia vista s’è ridotta – notizia fresca fresca e alquanto traumatizzante – e che nuovi occhiali stanno per posarsi sul mio naso, mi posso solo augurare che con le nuove lenti io possa scoprire ciò che ancora di me non ho saputo vedere. Così, tanto per approfittare del tempo che mi separa dalla cataratta senile. Perché se dice male dice male, e girarsi dall’altra parte non serve mica. Eh.

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(750) Barca

Durante la mia giornata le cose si ribaltano ogni mezz’ora. Come stare in barca, praticamente. Ci sono momenti in cui vorrei urlare “fatemi scendere subito!”, ma mi rendo conto che scendere se ti trovi in mezzo all’oceano non è proprio un’idea brillante. Ecco, io sto in mezzo all’oceano (tanto per rendere il quadro della situazione), quindi di scendere non se ne parla, l’unica cosa che posso fare è imparare a mantenere più che posso l’equilibrio. Questo posso e questo cerco di fare.

E se è pur vero che “finché la barca va, tu lasciala andare”, è anche vero che se la barca la lasci andare e basta – cioé di lei te ne freghi – non puoi neppure pretendere che ti porti dove vuoi tu. Quindi bisogna se non remare per lo meno approfittare del vento più che si può. Questo posso e questo faccio.

Non è che so sempre dove voglio andare, ma mi sono sempre imposta una meta perché girare a vuoto mi rende nervosa. Non pretendo di domare il Destino, ma voglio comunque dire la mia anche se per la maggior parte del tempo vengo bellamente ignorata. A volte essere ignorati è una benedizione, puoi farti i cavoli tuoi senza che nessuno ci metta il naso perché a nessuno frega niente di quello che stai facendo. Se diventa la norma, però, ti rende alieno nella tua terra e una o due domande bisogna pur farsele.

Si è notato che stasera non so bene dove voglio andare a parare con questo post? Bene, è la prova che andare così a naso può farti girare in tondo e se la testa ti gira una buona ragione c’è. Sono comunque partita da una parola, barca, e tutto sommato di barche so ben poco, conosco soltanto la mia ma forse la mia è, in fondo, un po’ come quella di tutti. Tutte le barche hanno un paio di funzioni da assolvere, restare a galla e trasportare qualcuno – spesso con qualcosa, tutte hanno una prua e una poppa, tutte si nutrono di acqua e vento, tutte sognano oceani blu e cieli azzurri spazzati di fresco. In fin dei conti cosa c’è da sapere di una barca se non questo? Il resto son dettagli.

Esattamente come ogni Essere Umano.

 

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(746) Posare

Ci sono pezzi che trovano il loro posto soltanto dopo anni. Molti anni. Non fanno altro che girarti intorno, non capisci cosa diavolo vogliano da te, sei anche pronto a lasciarteli alle spalle, andare avanti come se non fosse più importante. Niente da fare, ti ronzano sotto il naso senza posa, senza pace – loro e tua.

Sono certa che certi pezzi non andranno mai a posto, orfani di ragioni o di possibilità, ma prima o poi si stancano e vanno comunque a posarsi in un angolo o nell’altro preferendo il silenzio. E sono quelli che riescono a fare più male.

Alcuni pezzi ti chiedono di fare il primo passo, devono essere sicuri che non li ritirerai fuori ogni tre per due una volta che si sono sistemati. Bisogna stare attenti con loro, la sanno più lunga di noi.

Mettere in ordine i pezzi è sempre una buona idea, anche se costa fatica e se piuttosto andresti in Alaska in bikini. Mettere i pezzi al sicuro dove nessuno li potrà toccare ti aiuta a stare tranquillo, sai che se ti perderai puoi sempre ritrovarli lì e loro ti sapranno rassicurare.

Certi pezzi vanno a posto da soli, sono quelli meno importanti – forse – quelli che ti hanno lasciato un segno più leggero degli altri. Loro non si fanno pregare, in autonomia si posano un po’ qui e po’ là e si fanno dimenticare volentieri, sanno che quello che ti dovevano dare ti hanno dato e che i conti si son chiusi alla pari.

Quelli più tosti sono i pezzi che portano con sé delle domande perché di risposte ce ne possono essere più di una e non sai mai se quella che hai trovato sia davvero la definitiva. Rischi di illuderti per poi vederti ribaltare dalla risposta successiva e – magari – ancora provvisoria. Perché, ammettiamolo, certe domande non hanno risposte, contengono soltanto altre domande. Senza fine.

Ho imparato ad aspettare, potenziando la pazienza, forse perché ho imparato ad affidarmi o forse solo per stanchezza. Non lo so. Nel dubbio mi poso, guardando l’orizzonte sperando in un cielo di nuvole che corrono col vento che non ha posa.

 

 

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(659) Pavone

C’è solo il pavone che può permettersi di fare il pavone. Primo perché lo è, e nessuno lo può confutare, e secondo perché è bellissimo e anche questo è inconfutabile. Chiuso il discorso.

Parliamo di cosa dovremmo fare davanti a chi pavone non è ma lo fa. Tu stai lì e lo guardi sfoggiare una miserevole boria e ti vien voglia di dargli una testata. Non lo fai. Un po’ perché il mal di testa conseguente te lo vuoi evitare, un po’ perché la violenza se puoi te la risparmi. Ma ti rimane la voglia, quello sì.

I vanagloriosi sono un popolo vasto, vastissimo. Un vero e proprio ammasso di decerebrati che fa sfoggio di tutto quello che non possiede: intelligenza, sensibilità, eleganza, stile. Questi gap incolmabili sono enormi buchi neri che si palesano a chiunque sia dotato di un minimo di decenza, pudore, buongusto (oltre che intelligenza, sensibilità, eleganza e stile), e lo spettacolo è impressionante. Non ci si può credere di quanto sia profonda la pochezza d’animo di questi campioni di ben poca umanità. 

Trovare un modo efficace per far chiudere loro la coda una volta per tutte ed evitare in contemporanea la violenza fisica, secondo me, non è umanamente possibile. Non la capiscono che sono fuori luogo, che sono disgustosi, che sono dei cialtroni senza sostanza, che sono tenuti per decoro a starsene zitti. Non la capiscono. Non possono. Averne compassione, forse, è la strada. Ma per riuscirci bisognerebbe essere evoluti, io non lo sono. Io mi fermo alle mani che prudono e alla voglia di mollargli una testata sul naso. Mi fermo lì, al pensiero. Ma non perché sono buona, soltanto perché non voglio sprecare energie preziose. Mi ritraggo per mancanza di coraggio? O per pigrizia? O per indifferenza per le sorti del genere umano? Non lo so. 

Non sono indifferente, in realtà, forse sono soltanto stanca di fare la Don Chisciotte della situazione. E poi mi fa male la testa. 

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(555) Pochezza

Sì, la pochezza di certa gente mi lascia sempre esterrefatta. Sempre. E no, non sono un’arrogante, né una presuntuosa, sono soltanto nauseata dalla esasperante limitatezza di certi ragionamenti. Più sei ignorante più ti senti in diritto di dire la tua, ma la tua è una visione claustrofobica e maleodorante di tutto ciò che vedi perché non solo non hai i mezzi per raffinare il tuo pensiero ma di questo tuo imbarazzante gap ne sei persino orgoglioso.

Sì, quanto è bello poter far uscire tutta l’immondizia che hai dentro senza essere menato a sangue soltanto per il fatto che stai sporcando l’ambiente circostante con la convinzione che TU PUOI. Sputi su tutto e tutti. Tu la sai più lunga, tu vedi meglio di tutti, tu hai le risposte e le risposte portano sempre a una conclusione semplice e chiara: il mondo fa schifo, tutto fa schifo, tranne TU.

E questo ti fa stare bene, benissimo. Perché ti puoi lamentare, perché puoi guardare gli altri con superiorità, gli altri che non vedono, che non meritano, che se hanno qualcosa è giusto che la perdano – che qualcuno gliela tolga! – e che quel qualcosa vada a te. Tu meriti, tu vali, tu sei stato martoriato dalla vita e sempre ingiustamente. Tu vuoi la tua rivincita, tu vuoi che il mondo sappia chi sei, sappia che tu sei migliore di quello che loro pensano. Tu vuoi che tutti lo riconoscano così finalmente ti potranno baciare il culo.

Ecco.

Questo tipo di decerebrato quando lo incontri ti fa veramente vomitare. Ti vien voglia di dargli una testata sul naso, così senza neppure parlare. Te la do a prescindere, perché te la meriti, perché – sì – è giusto che il mondo sappia di te e sappia che tu meriti, meriti esattamente quello che dai al mondo ogni giorno. Meriti di essere ripagato per la tua immondizia e per la tua crassa boria che spargi ovunque senza ritegno. Meriti una testata in pieno viso. E se ti rialzi, ne prendi un’altra. Perché? Perché qualcuno che tu hai ferito, qualcuno su cui tu hai sputato, qualcuno che hai danneggiato e che hai deriso, denigrato, umiliato, ecco proprio quel qualcuno ha diritto pure lui a una soddisfazione. Il tuo silenzio è un principio di ricompensa, secondo me.

Bé, da qualche parte si dovrà pur iniziare, no?

 

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(549) Show

Ognuno fa il suo. Non è detto sia del tutto edificante, bisognerebbe non darlo per scontato. Bisognerebbe partire da una logica diversa dal solito, quella che ti impone di farti vedere al massimo della forma. Bisognerebbe volare bassi.

Parti a razzo e pensi di sorprendere tutti, sei sicuro che rimarranno a bocca aperta, in estasi. Ti pensi Madonna (se sei ateo) o La Madonna (se sei cristiano praticante), in breve ti pensi come non necessariamente sei, forse a come ambiresti essere. Credo che questo sia il vero peccato.

Se procedessimo invece con altro criterio, quello del volo rasente e poi piano piano risalissimo le correnti ascensionali (citando qualcuno, qualche tempo fa) per farci vedere al massimo del nostro splendore, magari lo stupore sarebbe reale e forse durerebbe più a lungo.

Mi sta bene la grande mascherata, nel senso che la giustifico, ma il buongusto deve avere la meglio sulla baracconata. Sempre. Perché non c’è bisogno di andare oltre, non c’è bisogno di fare i fenomeni, non c’è bisogno di dichiarare la propria superiorità. Se il bisogno c’è è perché non siamo fenomeni e non siamo superiori, tutt’altro.

Ora: che lo si faccia è un dato di fatto, che la maggior parte delle volte il nostro buonsenso non riesca a limitare l’enfasi del nostro show è un dato di fatto, che ci possa andare bene nove volte su dieci è un dato di fatto, ma…

Ma anche la Giustizia Divina è un dato di fatto, ha lastricato di prove ogni secolo d’esistenza del Genere Umano, e arriverà comunque il giorno in cui il nostro show non verrà tollerato, non verrà perdonato, non verrà fatto passare. Verrà il giorno in cui durante uno dei nostri maestosi show qualcuno ci darà un bel pugno sul naso. Quel giorno dovremmo ricordarci di incassare con onore. Non si piange, non si urla, non si bestemmia, non si ribatte, non ci si giustifica, non si incolpa qualcun altro. Quel giorno ci beccheremo il pugno sul naso, il naso sanguinerà, e noi staremo zitti, a testa bassa a prenderci in pieno tutta la vergogna che meritiamo.

Perché “Show must go on” è una canzone dei Queen, e il nostro show dovrebbe terminare ora. Le discussioni stanno a zero. Bisognerebbe capirlo una volta per tutte.

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(505) Trucco

Il trucco serve a mascherare, a nascondere. Serve a renderci diversi all’apparenza, a renderti più bella o più brutta dipende se devi sedurre qualcuno o se sei lo zombie a una festa di Carnevale. Il trucco a un certo punto va via, sbiadisce. Tu che stavi sotto sei costretta a tornare in superficie. Con sollievo o vergogna, questo lo deciderai tu, di volta in volta.

Quando il trucco c’è e non si vede, la meraviglia è una magia. Quando il trucco viene smascherato, la delusione ti fa scivolare il sorriso e chi s’è visto s’è visto.

Credo che il trucco, quando c’è, è meglio che non si veda, perché gestirsi la delusione è una brutta rogna. Credo che mettersi addosso un po’ di trucco, o anche tanto, sia sacrosanto se ne senti il bisogno, perché non ci hanno fornito alla nascita un’armatura capace di proteggerci da tutto e da tutti e invece ne avremmo tanto bisogno.

Poi c’è chi, come me, non ne usa, né trucco in faccia né trucchi in sala, e non è neppure una scelta ragionata, è soltanto pigrizia. Si sa che la pigrizia la si paga cara e i miei conti son sempre stati piuttosto salati, però…

Però vivendo già in superficie, a pelle scoperta, non riservo brutte sorprese a me stessa e neppure sgambetti fastidiosi a chi mi sta attorno. Ho imparato a mollare pugni sul naso, però, e piano piano alcuni se ne stanno rendendo conto. Eh, va così! La vita in superficie ti indurisce la pelle e ti rafforza il cuore. Che sia un bene o un male, questo non è dato saperlo e a dirla tutta non me ne frega niente.

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(97) Illuminare

Non è mia intenzione condannare il buio. Il buio è la condizione in cui il nostro corpo si può rigenerare per farci affrontare di nuovo la luce , e quindi il giorno. Se, però, vogliamo allargare un po’ il concetto, nell’oscurità ci sono i nostri mostri personali. Illuminare la zona li dovrebbe far scomparire, questo ci hanno detto.

Ci hanno mentito. Evidentemente.

Non sto qui a puntare il dito su chi e su come ci hanno preso in giro e continuano a farlo. Sono bravissima a polemizzare, ma ora non ne ho voglia. Fatto sta che non basta illuminare la zona per risolvere il problema mostri. Ti piacerebbe, eh? No, una volta che li hai illuminati dovresti pure affrontarli. Affrontarli non significa che li sconfiggerai, non tutti almeno.

Credo che ci siano mostri che son con noi per restarci. Altri meno, quelli li possiamo anche combattere e sconfiggere se facciamo sul serio. I mostri che restano, illuminati, si fanno più furbi (appunto perché illuminati) e son cazzi. Vorrei dirlo in modo più elegante, ma non me ne viene nessuno al momento. I mostri sgamati si infastidiscono di tutta quella luce e si attrezzano al punto da darti il tormento in modi che tu manco ti immagini.

Da lì parte la mia riflessione di stasera: illuminare tutto è proprio proprio proprio necessario?

No.

Se, però, non lo fai manchi di coraggio e un po’ (dentro di te) inizi a farti schifo. Ecco, questo colpo di coda potrebbe rovinarti la vita. Bisognerebbe farci i conti prima di prendere la decisione di restare al buio.

Che poi sbatti il naso contro la porta, il mignolo nella gamba del letto, il ginocchio sullo spigolo del comodino.

Accendi la luce, dai!

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