(983) Messinscena

Da una che lavora con le storie, lasciatemelo dire: bisogna riconoscere le messinscene per gestirle consapevolmente. Ma non solo se le costruisci, soprattutto se sei tra il pubblico e te le devi bere. Per difenderti dalle buffonate bisogna che impari a riconoscerle le buffonate. Svegliati!

Detto questo, quando mi viene il sospetto che la buffonata sia stata costruita per nascondere un film di m****, io indago. Prima di farmi prendere dall’intreccio studiato ad hoc (quindi difficile da destrutturare) ci vado piano. Uso la dannata cautela. Che non è una brutta cosa, e non è disfattismo perché quello parte da presupposti di vigliaccheria, la cautela parte da presupposti di tutelaggio della propria salute mentale. Tutta un’altra storia.

Ora: che sia facile cadere in trappola ci sta, ma che ci lasciamo trattare da coglioni anche no. Questo in linea di massima.

Bisogna applicare una serie di piccole precauzione e verificare se quello che ci stanno raccontando (con le parole e con i fatti) coincide con quello che è. Perché quello che è ti parla chiaro, devi soltanto avere le palle di ascoltarlo. Questo in linea di massima.

Eppure viviamo pensando che sappiamo già tutto. Già abbiamo il quadro chiaro prima ancora che il quadro sia stato completato. E guai a cambiare idea, mi raccomando!

In linea di massima sappiamo un bel niente. E ci basta. La cosa assurda è che ci teniamo tanto ad avere un’opinione per urlarla ai quattro venti. Ci basta così. Ci piace pensarci arguti, ci piace pensarci grandi pensatori. Bhé, i grandi pensatori son tutti morti, teniamolo presente.

E mi dispiace stare sempre lì a fare quella che s’intigna, ma il dannato e benedettissimo “SO DI NON SAPERE” ce lo dovremmo tatutare in fronte perché dovrebbe essere la prima cosa che leggiamo di noi al mattino quando ci guardiamo allo specchio.

Detto questo, in linea di massima, riuscire a partire dal “SO DI NON SAPERE” e percorre l’umile pratica del “IMPARIAMO QUEL CHE SI PUÒ IMPARARE” mi sembra un bel modo di occupare il nostro tempo.  A bocca chiusa e orecchie ben aperte sarebbe ancora meglio.

Pratichiamo, gente, pratichiamo.

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(918) Stato

Quando mi prende lo sconforto me lo domando: Babs, in che stato sei? 

Domanda retorica, ma salvifica. Mi permette di focalizzarmi sull’autocommiserazione come punto estremo dei miei bassi e da lì non si può fare altro che risalire. Con fatica, ma si risale.

Non farsi la domanda, molto probabilmente, non ti fa scendere dove non vorresti andare, ma allo stesso tempo ti toglie la possibilità di non finirci inconsapevolmente e vivere là in fondo per tanto tanto tanto tempo. 

Mi è stato chiesto ieri, ma era più che altro una constatazione fatta da una persona che stimo molto quindi le sue parole le prendo in seria considerazione: sei sempre incazzata? 

Ehmmmmmmmmmmm…

No, sì, non proprio, boh. 

Fondamentalmente non sono una che vive incazzata, ma credo di esserlo stata un po’ troppo negli ultimi anni. Più capisco e più mi incazzo. Lo so, non dovrebbe essere così, ma l’inverso. Per le persone sagge immagino funzioni al contrario: più capiscono e più se la mettono via. Smettono di incazzarsi e affrontano le cose con un certo distacco. 

Ahahahah. Distacco. Io? Mi dispiace non è contemplato nel mio genoma e il mio connettoma si è settato di conseguenza. Eh.

La stessa persona di cui sopra ha concluso così: no, forse tu sei solo una ribelle. E già lì mi ci sono ritrovata di più, meglio. Dal mio punto di vista se ti incazzi significa che ci tieni. Quando smetti di incazzarti è la fine, c’è il distacco. L’indifferenza. Ecco, io mi ribello all’indifferenza. La trovo disumana.

Quindi, rileggendo il tutto, mi piacerebbe che questo mio modo di prendere le cose non venisse letto come sfogo di un’isterica, ma come attaccamento alle cose umane. Mi interessa tanto la salute dell’Anima Umana. Tanto. E non so il perché, non me lo chiedo neppure il perché. Sento solo che bisogna farci caso, bisogna starci sotto, bisogna tenerci. Davvero. 

Passare sopra alla mediocrità come se fosse di default una parte di noi è da pusillanimi. Da perdenti. 

Girarsi dall’altra parte quando l’invidia, la cattiveria, la violenza si esplicita è disumano. Non ha niente a che fare con noi, con il nostro Cuore, con la nostra Anima. Niente proprio. Ce la raccontiamo perché non vogliamo rogne. Ma ce la stiamo comunque raccontando male perché mortifichiamo la nostra parte bella. Quella che non fa casino, magari, ma che non vede l’ora di esplicitarsi. Non sgomita, e forse sarebbe il caso lo facesse, ma è un attimo tirarla fuori e far stare bene tutti. Noi e gli altri.

In che stato sei Babs? In quello che non accetta la rassegnazione come politica, l’indietreggiare come opzione, il nascondersi come strategia. Se vi sembro incazzata, allora va bene. Se volete andare un po’ oltre, però, sarebbe meglio, perché dentro di voi risuonate come me, soltanto che non ve lo confessate. Pensate di non potervelo permettere. Non è così. Altrimenti sareste morti. E ancora non lo siete. Ricordatevelo: ancora non lo siete.

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(867) Altezze

Arrivarci, magari, a certe altezze. Già. Ma poi cadi giù. Eh.

Allora ci si pone una domanda: ma ne vale la pena? E purtroppo la risposta è sì. Ogni tanto arrivare in alto fa bene, e per la discesa… bé, si impara anche a cadere, se lo metti in conto ci pensi prima. No?

La continua ricerca del brivido diventa dipendenza, ma anche l’ostinata ricerca della pace. L’ossessione non porta alla pace, questo è certo. Non capisco perché siamo così tormentati dal fatto che non abbiamo pace. Certo che non ne abbiamo, stiamo vivendo, mica siamo morti. La pace è dei morti. Il quotidiano infernale non ci permette sosta, ma neppure se scegliessimo di vivere tra le montagne nepalesi. Avremmo fame, sete, sonno e magari anche voglia di fare l’amore. Abbiamo un corpo, siamo qui per questo, per avere a che fare con il nostro corpo. Il corpo ha bisogno di provare, di sentire, di farsi attraversare. E poi tiene memoria. Credo sia in questa memoria che le cose si complichino. Come fai a tenere testa alle memorie? Non lo so.

Se il tuo corpo non ha mai conosciuto la fame, quella vera, non la puoi comprendere con la mente. Troppo grande per poterla immaginare. Se non hai mai conosciuto l’Amore, quello vero, non lo puoi comprendere con la mente. Lo puoi immaginare, ma non sarà mai vero, sarà una proiezione di te stesso e non è che abbiamo proprio una visione chiara di noi stessi (ammettiamolo), sufficiente a metterci al sicuro. Anzi. Significa che un Amore reale può spiazzarti, ti rende immediatamente vulnerabile, non potevi pensarlo così, il tuo corpo non si era mai fatto attraversare da quella potenza e tu… non ti riconosci come quella persona che hai continuato a frequentare per anni e anni e anni (con una certa assiduità, per di più).

Tutto molto semplice, tutto molto complicato, tutto molto doloroso, tutto incredibilmente affascinante.

Quindi ci si augura di arrivare ad altitudini imbarazzanti, pensandole e immaginandole e desiderandole come mai saranno, mai potranno essere. Perché la realtà è un’altra cosa, ma non è meno, è soltanto un’altra cosa. Dovremmo pensarla diversamente, guardarla diversamente, sentirla diversamente per poterla apprezzare per quello che è. Ognuno di noi trova il suo modo, non è una questione di giusto o sbagliato. L’importante, credo, è farci caso e prestarle attenzione. Sarebbe un peccato perdersi una cosa così magnifica soltanto perché ci siamo intestarditi a immaginare anziché vivere.

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(112) Ispirazione

Quando manca te la devi far venire. Non è che uno si muove soltanto se è ispirato, bisogna farlo e basta. In linea generale vedo troppa gente che aspetta l’ispirazione prima di muoversi e nel frattempo si lamenta.

Ecco, non è che io sia baciata da ispirazioni luminose e costanti, tutt’altro, e quando attraverso periodi non proprio motivanti mi lascio andare un po’, ma ho provato sulla mia pelle che più non ti muovi e più fatica fai a muoverti. Anche se l’ispirazione t’arriva e ti colpisce dritto in fronte sul terzo occhio, se sei anchilosato perché sono anni che non ti schiodi da dove stai… bé, l’ispirazione avrà la peggio.

Vincerà la tua pigrizia.

Non facciamoci ingannare, ci sono diversi tipi di pigrizia e generalizzare non fa bene a nessuno. Per esempio io sono affetta da quella fisica: appena smetto di impegnarmi in un’attività fisica (per l’amor del cielo, mai stata un’atleta, ma certi sport li ho praticati pure io) che sia la palestra, la piscina, la pista di pattinaggio o quella di ballo, poi a ricominciare… campa cavallo! (rima involontaria, scusatemi)

Ok, dovrò guarire da questa indolenza, me ne rendo conto sempre di più mano a mano che il tempo passa e invecchio, ma… ma in tutta sincerità se la tua mente è attiva e capace di movimento, a un certo punto il tuo corpo obbedisce.

Viceversa è un casino.

Se sei affetto da pigrizia mentale, auguri. Davvero, credo che sia la malattia peggiore, quella più diffusa e quella più sottovalutata. Inizia a prenderti quando sei piccolo e non ti molla per tutta la vita. E se la tua vita è destinata a durare a lungo, aver a che fare con una mente pigra è una condanna che non augurerei a nessuno.

Detto questo, ribadisco il concetto: attendere l’ispirazione per fare qualcosa (qualsiasi cosa) è da rassegnati, da pigri, da lamentosi, da perditempo.

L’ispirazione bacia i vivi e non i morti.

Daje.

 

 

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