(693) Piangere

Ci sono cose che fanno piangere, e anche persone che sanno come far piangere. E ci sono almeno mille modi diversi di piangere e un milione di ragioni diverse per cui si piange. Ogni lacrima versata si porta via con sé un intricato garbuglio di sentimenti. Non piangi mai per una cosa soltanto, inizi con una motivazione – certo – ma poi a valanga vieni sommerso da tutto quello che fino a quel momento stava in piedi per miracolo. E quando l’incantesimo si spezza: addio.

Addio nervi, soprattutto.

Io piango quando rido di cuore. Nel senso che anche quando rido piango. Questo fa di me presenza fastidiosa per esempio al cinema: se un film mi piace piango. Fosse anche un film comico, fa niente, io piango. Che poi il mio non sia un pianto becero è un dato di fatto. Piango in silenzio. In un certo qual modo il mio pudore ha la meglio. Decoro innanzitutto, sono pur sempre friulana. 

La questione ha anche un’altra faccia: piango raramente per me. Mi faccio piuttosto compassione in diversi momenti, ma più che piangere per me mi viene naturale ridere di me. Questa cosa mi stordisce. Voglio dire: è una cosa positiva o una cosa negativa? Lo ignoro bellamente. Non lo so proprio, non riesco a capirlo dalle conseguenze che mi porto addosso perché è così da molto tempo e le conseguenze sono diventate parte di me. Forse è un male e sono malata, o forse non sono del tutto fuori di testa perché questa dinamica mi fa bene. Boh.

Riassumendo: piango per gli eventi, per le persone (e a causa di certe persone), piango per le storie che ascolto/vedo/incontro, piango per le cose che mi fanno incazzare. Non piango per me, anche se credo che esistano buone ragioni che lo potrebbero giustificare (un bel pianto ognittanto, mica sempre). Eh. Quindi? Niente, era soltanto per fare il punto della situazione. Facciamo che ora che l’ho scritto lo possiamo serenamente archiviare, ok? 

Bene, buonanotte a tutti e grazie per l’ascolto (e buonanotte anche a me).

 

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(268) Umanità

In generale, tutta insieme mi fa paura. La evito proprio. Tutta insieme è troppa, diventa una minaccia anche se c’è aria di festa. Non lo so, sarò stata traumatizzata dalle volte in cui mi sono trovata schiacciata tra la folla senza poter respirare (concerti). Quindi resto ben distante dalle situazioni dove l’Umanità può avere la meglio su di me.

Eppure, quella che esce dagli Esseri Umani in situazioni di incontro one-to-one è ancora fonte di grande fascinazione per me. Entrare in sintonia con chi ho di fronte per trovare il modo di comunicare a un livello più profondo, quasi viscerale, credo sia la sola possibilità per vivere il legame. Può durare un’ora o solo dieci secondi, a volte non servono neppure le parole, basta uno sguardo, basta un tocco, basta un nulla perché il varco si apra e avvenga l’incontro.

Essere Umano che incontra Essere Umano.

Tutto molto semplice, molto naturale, molto… molto. Sono assolutamente fortunata perché mi capita spesso, molto fortunata perché il programma che era nato senza altro pensiero se non quello di immortalare quei momenti delicati e intensi continua a darmi ragione. Ormai non dubito più.

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(91) Orizzonte

Tenere lo sguardo a terra è cosa saggia perché se appoggi il passo su un terreno sdrucciolevole, una buca, un ostacolo, finisci a terra che manco te ne accorgi. Ho guardato molto la terra su cui poggiavo i piedi, non mi sono evitata scivoloni, ma sono caduta sempre a metà, preparata un nanosecondo prima grazie al mio guardare.

Se, però, lo sguardo non s’alza mai da terra per rivolgersi a ciò che ti circonda rischi di sbattere ovunque e di farti molto male (oltre ad assicurarti un torcicollo cronico, che non è una cosa bella). Ho sbattuto spesso contro persone e cose che mi hanno fatto male e ho imparato a prestare attenzione a quello che mi sta attorno e a farne i conti.

(guardati attorno, guardati dentro e guarda la terra su cui poggi il passo – un lavoro a tempo pieno che può diventare snervante, lo ammetto)

I momenti più belli in assoluto li ho vissuti quando ho osato spingere il mio sguardo all’orizzonte. Momenti di silenzio in solitudine pressocché perfetta. Credo che quel punto preciso, l’orizzonte, sia l’incontro di ciò che hai dentro, ciò che hai attorno, ciò che hai sotto i piedi e (meraviglia) ciò che hai sopra la testa. E cosa ancora migliore: guardi al tuo cammino con uno scopo, è là che vuoi arrivare.

L’orizzonte è così. Si muove come io mi muovo, per motivarmi a proseguire perché la strada da fare è tanta, molto di più di quello che tu puoi pensare. Si ferma se io mi fermo, per assicurarmi che una meta c’è e mi aspetta. L’orizzonte non scompare neppure quando sei chiuso in una cella (reale o virtuale che sia) perché rimane impresso nella retina e se chiudi gli occhi si ricompone a tuo piacimento. Senza perdere il senso, senza perdere lucentezza.

Il mio orizzonte è così, il mio come quello di tutti. Solo che non tutti se ne accorgono e pensano che spingere lo sguardo all’orizzonte sia cosa da sognatori. Si sbagliano di grosso, è cosa di tutti quelli che amano camminare la propria vita.

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