(1068) Maturità

Pensavo che la maturità fosse un’oasi di pace, dove i conti tornano e ci si mette via via l’anima in pace preparandosi a godersi la vita così come la vita deve essere: meravigliosa.

È molto probabile io abbia frainteso un paio di concetti costruendomi un’utopia difficilmente giustificabile.

Ovviamente, la maturità ti porta una certa presenza di spirito. Magari prendi un po’ meglio le cose – dalle rotture di palle alle delusioni, dai contrattempi ai piani falliti e via dicendo – ma poco altro. Davvero poco altro. Ci si incazza ancora (sperando di esserne ancora capaci) e si soffre ancora per le cose che sfuggono via e non ci si può fare niente. Soprattutto si viene presi da attacchi furiosi di nostalgia e ogni nostra giornata ha un sottofondo malinconico che si sposa male con il godersi davvero la vita meravigliosa che vorremmo.

Su questo me la sento di azzardare che non sono la sola a viverla così, altrimenti vedrei i miei coetanei passarsela meglio.

Dunque è evidente che la mia idea naïf di maturità deve essere corretta e sanata. Eppure, la tristezza che mi prende nel pensare di lavorarci sopra togliendo tutto lo zucchero mi è insopportabile. Pensare che prima o poi scorgerò all’orizzonte quell’oasi di pace in cui rifugiarmi è un bel pensiero, dopotutto. Illudermi che ci sarà un miglioramento e che le cose diventeranno meravigliose (andiamo a percentuale, dai, almeno un bel 50% su!), mi tranquillizza. Mi fa stare a galla.

Comunque, l’estate si sta squagliando, si entra ufficialmente nella stagione della malinconia… dove mi trovo decisamente più a mio agio. Ma di cosa sto parlando, quindi? Va bene così, va tutto bene così.

È meraviglioso.

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(527) Venerdì

Da un po’ le mie settimane sono come le settimane di tutti. Questo mi fa ancora strano, sono ancora stordita dagli orari ordinari di questa mia nuova vita. Non riesco a farmene una ragione, ecco tutto.

Quindi arrivare al venerdì e pensare: “Meno male che è venerdì!”, mi sconvolge. Letteralmente.

Mi ero scordata di come ci si sente, di come questa scansione del tuo tempo – nelle mani di qualcun altro – ti possa toccare nel profondo. Se non hai mai provato altro non te ne puoi accorgere, ma passare da una condizione di assoluta autogestione a quella di ordinaria gestione imputabile a terzi ti si palesa subito con uno scollamento emotivo preoccupante.

Ok, c’è chi la sa prendere meglio di me – perché più intelligente, maturo, saggio, lungimirante ecc. – ma non è che posso togliermi da me stessa fingendo intelligenza-maturità-saggezza-lungimiranza che non possiedo. Eh!

Quindi vivendomi per come sono, devo sistemarmi nell’ottica che sto sbagliando qualcosa. La mia percezione della realtà, ancora una volta, deve essere sistemata. Devo aprirmi a un cambiamento profondo per calibrare meglio il mio assorbimento delle cose che mi coinvolgono e di cui non ho il controllo.

Che detto così sembra che io sia una maniaca del controllo (lo sono?!), ma non è che vivere assecondando il vento sia una condizione che mi è appartenuta in qualche modo pienamente (solo nei miei sogni, non realizzati per ovvie ragioni), per cui i miracoli da me stessa non li posso pretendere. Forse posso raccontarmela meglio, forse posso valutare il resto con più discernimento. Forse.

Va bene, qualcosa mi inventerò, il problema ce l’ho qui davanti agli occhi e non ho scampo. O l’affronto o l’affronto.

Per fortuna che è venerdì. Eh.

 

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