(1010) Stile

Questione di stile. E non sto parlando di uno stile che sia migliore dell’altro, sto solo facendo presente l’ovvio: ognuno di noi ha il suo. O dovrebbe averlo. 

Ognuno di noi è portatore sano, o meno sano, di un mondo che si è creato col tempo: scegliendo quello che gli pare. Va da sé, ognuno di noi ha il suo modo originale di esplicitare quell’agglomerato di cose che ha inglobato nella sua personalità con gli anni e la ricerca. 

Ai miei tempi se non amavi Bukowski eri un po’raccio. Mi sono letta tutto Bukowski annoiandomi un bel po’ nel frattempo, per decidere che con tutto il rispetto che provavo nei confronti di questo autore/poeta, il mio mondo era un altro. Ovvio che certe sue frasi fan bene ai neuroni e al cuore, ma quel suo universo, con la sua malattia, è ben lontano dal mio, e dalla mia malattia. Stessa cosa per Kubrick. Stessa cosa per il Cubismo. Mondi che sfioro volentieri, ma nei quali faccio fatica a immergermi. Non risuonano con il mio. 

Il mio stile è fatto di tonalità accoglienti, anche se amo i colori sgargianti che trovo in natura. Per esempio: un verde acido su una maglietta o su dei pantaloni… ecco, non lo contemplo neppure. Il mio sguardo non accoglie, rifugge.

Il mio stile è fatto di suoni grintosi e di melodia. No, non frequento i rave

Il mio stile è fatto di parole legate ai concetti e immagini che raccontano senza dover dire niente e oggetti anche inutili ma tanto belli. E dettagli, milionate di dettagli che vanno a migliorare la sostanza.

Detto questo: essere criticati per lo stile che ci portiamo appresso è d’obbligo. E a dirla tutta, se da ragazzina me ne facevo vanto, se da ragazza alzavo le spalle, se da giovane donna alzavo il sopracciglio, ora resto impassibile. 

Francamente non me ne potrebbe fregare di meno. Non baratto il mio stile per il tuo. Fattene una ragione e ignorami. 

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(241) Facile

Sembra che se una cosa non è facile da farsi smette di essere interessante, regola che non vale solo per i ragazzi ma anche per gli adulti. Ormai è così.

Se è facile, però, se la si ottiene schioccando le dita, manca la soddisfazione e la si gode solo per metà. Risultato che vale per giovani e adulti, è giusto rimarcarlo.

Ora: le cose facili a me non vengono mai in mente, mai. Non so cosa questo significhi e che origini abbia, ma è un dato di fatto. Se è facile non lo guardo neppure. Non è che va benissimo, me ne rendo conto, ma non ci posso fare niente. Se è facile per me non esiste.

Mi domando per quale strambo assemblamento neuronale io debba trovare naturalmente gratificante-interessante-divertente-motivante tutto quello che è difficile da ottenere.

Sono malata, non c’è altra spiegazione.

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(220) Xenofobia

xenofobìa (o senofobìa) s. f. [comp. di xeno- e -fobia, sul modello del fr. xénophobie]. – Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi, senza peraltro comportare una valutazione positiva della propria cultura, come è invece proprio dell’etnocentrismo; si accompagna tuttavia spesso a un atteggiamento di tipo nazionalistico, con la funzione di rafforzare il consenso verso i modelli sociali, politici e culturali del proprio paese attraverso il disprezzo per quelli dei paesi nemici, ed è perciò incoraggiata soprattutto dai regimi totalitari.

Se lo sei non appartieni alla mia razza, ma non per questo ti odio. Il punto è che se lo sei per metà, per quella metà che ti fa comodo, allora non appartieni a nessuna razza se non a quella degli ipocriti. Allora sì che mi viene proprio da odiarti. Perché gestire il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il giusto e lo sbagliato assecondando il tuo comodo mi fa davvero schifo.

Togliere dal mondo tutto quello che secondo i tuoi parametri non va bene equivarrebbe a togliere tutto e il contrario di tutto allo stesso tempo. Credo tu abbia bisogno di curarti, questo mondo è troppo per te e il tuo cervello.

Dopo questo sfogo, passo volentieri al pensiero successivo: non c’è niente di esterno a noi. Tutto quello che esiste ci appartiene, in un modo o nell’altro. Le fobie sono paure che sfuggono al nostro controllo e se così è dovremmo prenderci cura di noi stessi e venirne fuori. Non andando contro il resto del mondo, ma accogliendo il mondo dentro di noi perché è a lui che apparteniamo.

Come fai a stare bene con tutto l’odio che hai dentro? Povero te.

PS: no, la foto che accompagna questo post non è uno sbaglio, l’ho scelta apposta e, secondo me, lo capite senza bisogno che io ve lo spieghi.

 

 

 

 

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(73) Tappeto

Qui si tratta, semplicemente, di dichiarare in tutta tranquillità che al momento non sei in grado di intendere e di volere perché il virus ha avuto la meglio su di te. Lo so, sembra una cosa facile da fare, ma mi fa incazzare.

E’ una inutile sospensione della routine che ti obbliga al nulla. Al sonno.

Eh! Da quanto tempo non ti fai una bella dormita come quelle che ti facevi ai tempi della scuola (perdendo regolarmente il bus e inventandoti l’inverosimile pur di non alzarti dal letto)? Un secolo.

Bene, ora puoi dormire. Non ti stai inventando nulla, il virus ti ha invaso e tu sei decisamente al tappeto.

Amen.

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