(767) Nominare

Dare un nome per poi richiamare quel nome – portatore di presenza, di concetto, di sostanza – quando ne senti il bisogno è un privilegio degli Esseri Umani. Non solo ci rende un servizio indispensabile alla gestione del nostro vivere, ma sotto sotto ci dà la sicurezza che – anche se il mondo si dovesse rovesciare – noi prima o poi troveremmo di nuovo le cose che si sono perdute. E le persone che non ci sono più non smettono di essere, sono comunque presenti nella nostra mente oltre che nel nostro cuore appena le nominiamo. Una sorte di magia, vero?

La parte più delicata è stata trovare il giusto nome alle emozioni, ai sentimenti, a quei pensieri che fuggono da ogni catalogazione. Alcuni ancora ci risultano inafferrabili, ma con parafrasi o facendo un giro più lungo, alla fine ce la facciamo a individuarli e a fermarli con uno spillo come fossero farfalle.

Lo facciamo per bisogno d’ordine, vero, ma soprattutto per bisogno di controllo. La vita si muove senza posa, si intreccia, si ingarbuglia e noi con lei a starle dietro. Cerchiamo di bloccarla almeno quando le cose sono belle, cerchiamo di far durare quegli istanti un po’ di più, ma raramente ce lo lascia fare. Forse perché nel momento in cui ti abitui al bello, il bello smette di brillare adeguandosi ai tuoi occhi che ormai non vedono più.

Nominare qualcosa di brutto ti mette a disagio, come se lo stessi chiamando affinché si materializzasse davanti a te all’istante. Eccolo qui, ancora una volta quel sentore di incantesimo, quasi di maledizione. Abbiamo più paura di nominare il brutto che il bello, non è un caso, il brutto ci sente meglio ed è di bocca buona.

Il punto è che tutto ciò che non nominiamo s’ingigantisce nel nostro inconscio e ci avvelena con un sottile tremore dell’anima. Temiamo ciò che non sappiamo nominare, c’è in quel vuoto del suono un vortice che ci risucchia nella pancia dell’uomo nero. E noi bambini siamo senza speranza.

Ribellarci al silenzio omertoso non è più una scelta, rimane l’unica via.

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(446) Supercalifragilistichespiralidoso

Ogni Essere Umano degno di questo nome ha nel suo più segreto ripostiglio della mente una formula magica, che appena la pensi o la dici fa cambiare qualcosa. Ovvio che se glielo chiedi mica te lo dice, non lo ammetterebbe mai, per una sorta di pudore o di sano mi-faccio-i-cavoli-miei-che-vuoi-da-me ed è giusto non insistere, però mi rifiuto di pensare che ci siano persone prive di una propria parola magica privata, segreta, potente. Del tutto inverosimile.

Per lunghi anni la mia è stata: vaffanculo. Lo svelo perché ormai ho superato quella fase e sono passata oltre. Devo dire che ha funzionato per un tempo del tutto onorevole fornendomi sempre la chiave per superare e proseguire. Non serviva neppure dirlo ad alta voce, bastava che la pensassi e zak! mi cambiava il senso della vita, giuro. Una rinascita ogni volta. Pazzesco.

Comunque, dopo aver elargito con generosità stupefacente la mia formuletta, ho scoperto che non mi dava più la soddisfazione di un tempo. Forse perché anche le formule magiche si evolvono e cambiano vestito e sostanza, non lo so. Fatto sta che negli ultimi tempi ne ho usate diverse, le trasformavo a seconda della necessità e, valutando i risultati pratici, lo consiglio come metodo piuttosto efficace. Del tipo che succede qualcosa, cerco di capire di cosa si tratta e dopo una veloce valutazione scelgo la parola che mi sembra più appropriata. Non sempre sono improperi, a volte mi riduco a un’alzata di spalle mentale – cosa che tra l’altro non ha mai fallito un colpo.

Sto scrivendo questo post ben conscia di tutte le conseguenze che ne possono derivare, ma lo faccio per una sorta di dovere morale. Credo sia giusto elargire la conoscenza e farlo senza interesse personale è l’unico modo per farlo, pertanto eccomi qui a svelare la parola magica che è all’origine di tutto, ma proprio tutto quello che ho fatto nella mia vita – vita non del tutto esaltante, ma con certi picchi interessanti di soddisfazioni. La conseguenza che potrebbe rivoltarmisi contro è che la parola non funzioni più, ma è una cosa diversa rispetto al vaffanculo iniziale, ha una sostanza più solida, più vitale. Ho molta fiducia in lei, non la penso capace di svanire facilmente perché ormai si è radicata nel mio DNA e quando è così non c’è calamità che tenga, è tua per sempre.

Detto questo, eccomi qui a svelare la mia parola magica, perché penso che possa riguardare tutti e che dovrebbe comunque essere patrimonio dell’Umanità. Pronti?

Io Posso.

[tempo presente del verbo potere, rigorosamente in prima persona]

Non serve urlarla, non serve neppure darle voce, non serve trasformarla in pugni o bastonate, non serve come arma di convincimento o di sottomissione. Se la si usa così non regge. Se invece la accarezziamo dentro di noi, al segreto, credendo nel suo saper creare, allora funziona. Se la usiamo per generare benessere e bellezza, non la ferma nessuno. Se la doniamo come fosse la famigerata pietra filosofale, non ha limiti.

Io Posso. E il mondo si apre al tuo potere, perché accettare di avere in noi il potere non è una passeggiata e quando ci riesci il salto quantico è inevitabile.

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(398) Cariatide

Lavoro con le parole perché sono l’ambiente mentale che mi permette di delineare al meglio l’essenza di ogni cosa. Attraverso le parole arrivo al nocciolo della questione. Appena riesco a trovare la parola giusta per dirlo, per esprimere il mio pensiero, allora so che la mia possibilità di toccare un altro Essere Umano si può concretizzare.

Credo fermamente che il far crescere il pensiero passi attraverso la parola, che contiene e che scopre, che amplifica e solidifica sfumature che soltanto immaginare non può essere abbastanza.

Per quanto io ami le arti visive non posso pensare a un mondo fatto di uomini che hanno dimenticato il potere delle parole. Mi vengono i brividi se ci penso.  Gli stessi brividi quando mi si consegnano in mano parole svuotate, sbranate dall’uso senza criterio e dal cattivo gusto.

Curare i pensieri, nominando ciò che è più intimo, aiuta a sconfiggere i mostri-del-non-detto che possono schiacciarci facilmente se li lasciamo agire nel buio. Poter accrescere in una giovane mente la capacità di maneggiare le parole che sanno sorreggere, soppesare, scandagliare, sorprendere, rassicurare, spronare, stratificare, ampliare – e chissà cos’altro ancora – il nostro possesso del mondo (solo in senso metaforico e mai in modo definitivo o definito) credo sia il dono più bello che possiamo farle.

Per tutti questi motivi, in questi ultimi mesi, mi sono sentita una cariatide. Eppure oggi, con le parole giuste, calibrandone l’intensità, la magia si è compiuta di nuovo e il pensiero di una mente ha trovato soluzione e sollievo. Una strada che le si è aperta non grazie alla cariatide, ma soltanto grazie al potere della parola. Non smetterò mai di crederci, mai mai mai. Sì, ho detto mai.

 

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(290) Incastro

Si tratta di armarsi di santa pazienza e di dare fuoco al sacro braciere della creatività – in ogni cosa che fai – e solo dopo un bel po’ potrai goderti l’esplicitarsi della grande magia dell’incastro.

Mi rendo conto che a dirlo non ci si crede, bisogna provarlo lo so, ma io lo dico lo stesso perché almeno un giorno qualcuno potrebbe ricordarselo quando gli capiterà di assistere alla sua personale manifestazione. Non si ricorderà di me, certo, ma si ricorderà di averne sentito parlare chissà dove e chissà quando e gli scapperà un sorriso.

Toh! E io che non ci credevo!

Non puoi prevedere quando ti capiterà, non puoi prevedere come sarà o come ti si espliciterà, ma la magia dell’incastro è foriera di belle sorprese. Tipo fuochi d’artificio (ma quelli belli, mica gli scarti da discount). Insomma, per guadagnarti quel momento devi lavorare sodo per combinarti l’incastro giusto, ma quando ci riesci… bé, allora sei in una botte di ferro.

(forse)

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(218) Pozione

Ben inteso: la pozione mica è sempre magica, tutt’altro. Spesso è un semplice decotto, un infuso blando, un medicamento placebo. Eppure adoriamo le pozioni.

La sola possibilità che lo sia, magica intendo, cambia tutto. La possibilità che si può tradurre meglio in: immaginare la possibilità. Solo immaginare che questa pozione mi darà la forza di Asterix me la fa prendere volentieri. Faccia anche schifo come sapore, i risultati saranno strabilianti.

Io la vorrei la pozione giusta per farmi diventare strabiliante. Non l’ho ancora trovata, ma ogni giorno mi aggrappo a una delle mie possibilità immaginate per farmi fare ancora un altro passo nella giusta direzione. Fosse anche una pratica stupida, una cosa da nulla, non la abbandonerei mai, per nulla al mondo.

Ho ancora un paio di possibilità immaginate che mi sorreggono quando le gambe cedono e sono loro il mio segreto, la mia pozione magica. Un goccio e divento strabiliante. Lo consiglio a tutti, posologia a piacere, effetti collaterali ridotti a un nulla. Tenere lontano dalla portata dei cinici e dei boicottatori di possibilità immaginate, ovviamente.

 

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(143) Teatro

Chiudi gli occhi e, anche se non vedi, senti.

Il mio sogno di bambina si è realizzato, quel sentire che potevo solo sognare ora lo vivo. Come non esserne grata?

Mi domando spesso da dove mi arrivi questa cosa del raccontare? Da mio nonno barbiere? Era un fine narratore, mi hanno detto. Se è da lui che ho preso questa cosa magica, tutto mi è ancora più caro.

Non so se e quanto durerà, ma non posso preoccuparmene ora. Vivo il mio sogno e mentre lo respiro facendolo entrare in ogni mia fibra mi sembra che sarà per sempre. Che io poi non creda al per-sempre, questa è cosa di poco conto perché io credo nella magia.

Chiudi gli occhi e, anche se non vedi, senti.

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(124) Magie

Credo che chi non crede nella magia delle cose, delle persone, della vita… si faccia un torto. Non tutto è pieno di magia, ma tanto lo è, anche se noi non ce ne accorgiamo.

Il punto è: perché?

Perché a un certo punto della nostra vita smettiamo di riconoscerla, di cercarla, di crederla vera? Forse perché qualcuno ci dice che non esiste, o perché il sapere che esiste ci spaventa, o perché ci sembra che senza si stia meglio.

La magia c’è.

Che ci piaccia o no.

E se non ci piace, faremo meglio a darci un perché. Sarà una risposta ridicola, assurda, falsa e cinica, sappiatelo. E se avrete il coraggio di guardarla in faccia non ci penserete un attimo a metterla da parte.

Con una semplice magia.

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(81) Fortuna

E’ un’abitudine che ho preso secoli fa e che ormai fa parte di me. Quando mi rendo conto di essere nel posto in cui vorrei essere, o di essere con la persona/le persone con cui vorrei essere, allora fermo i pensieri e mi dico: che fortuna essere qui.

Non è che io creda troppo nella fortuna, non in quella casuale comunque. Credo che la fortuna uno se la costruisce piano piano, col tempo. Almeno il tipo di fortuna che non svanisce con un colpo di tosse.

Ecco, questo pomeriggio ero dentro a un bellissimo teatro. Vedevo gente di ogni età intenta ad ascoltare musica non così semplice da comprendere, ma assolutamente magica nella sua presenza e nel suo espandersi. Insomma, assistevo a tutto questo fluido benessere, tra sconosciuti (almeno, io lo ero per tutti loro) e mi son detta: che fortuna essere qui.

Non è facile da riportare a parole, rischio di appiattire tutto, ma mi piace stare a spremermi le meningi per recuperare quella magia senza riuscirci completamente. Significa che se non mi fossi fermata su quel pensiero, ora non avrei nulla su cui riflettere e mi sarei persa un’occasione d’oro.

Niente, era tanto per condividerlo, perché sono fortunata a essere qui.

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(57) Tasti

Avessimo davanti a noi la tastiera di un pianoforte sarebbe più facile: bianchi e neri. Distanziati con un certo criterio che rimane invariato benché tu possa usare i tasti come più ti garba. Decidi tu la melodia, decidi tu il ritmo, decidi tu il tempo.

Trovare i tasti della mia vita mi comporta un sacco di energia spesa, ancora non so se bene o male perché ancora non so se i tasti che mi sembra di aver trovato siano reali o solo il frutto della mia bizzarra immaginazione.

A volte è davvero tutto così confuso che mi verrebbe voglia di spaccare questo pianoforte del diavolo, ma poi, a un certo punto, quando mi calmo e mi siedo davanti alla mia tastiera… toh! Ecco comparire i bianchi e i neri!

Allora mi concentro su quello che c’è, su quello che posso fare, a volte addirittura su quello che voglio fare e viene ancora meglio.

Sì, la musica che racconta il mio voglio è davvero potente. L’ho vista abbattere muri di ostracismo ostinato quanto insulso, l’ho vista rimbalzare tra i giudizi velenosi e le piccole miserie, l’ho vista trasformare le mie relative virtù in qualcosa di bello da offrire a chi mi sta accanto.

Il mio desiderio più grande di bambina era imparare a suonare il pianoforte. Tutta quella magia solo a sfiorare i bianchi e i neri… no, non ho mai potuto prendere lezioni e non ho mai imparato.

Eppure, proprio ora, sto qui davanti al mio pianoforte e sto suonando la musica che voglio io.

Tasto dopo tasto, con una melodia, un tempo, un ritmo, un tono, un colore.

Che magia!

b__

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