(764) Canestro

In questo momento vorrei parlare di molte cose perché oggi ho molte cose da dire, ma sono tutte confuse, sono tutte accavallate una sopra l’altra e non riesco a metterle in ordine. Non riesco a scriverle. Non è tempo, evidentemente. La scrittura mi ha insegnato la pazienza e mi ha anche insegnato ad arrendermi di fronte all’evidenza: i tempi non sono quelli che voglio io, sono quelli che vuole lei (la scrittura appunto).

Mi ronza in testa però l’espressione “fare canestro”, che è qui per dirmi qualcosa, anche se non so di preciso cosa. Forse si riferisce a quando ho una sensazione e questa si rivela esatta. Quando inquadro una situazione e questa si palesa in tutta la sua natura. Quando dico e si avvera. Penso e si concreta. Taccio e si conferma.

Sono certa che succede a tutti, non è che sono dotata di poteri paranormali, ma forse non tutti se ne rendono conto perché gli non prestano attenzione. Per quanto mi riguarda quel fare canestro mi permette di non dare per scontato certi dettagli, quelli che mi stanno parlando e che io sto leggendo e interpretando.

Mi sembra assurdo, ma è corretto. Dubito della mia lucidità, ma è corretto. Metto in discussione ogni grammo di me stessa, ma è corretto. Corretto non significa Hurrà che bello!, potrebbe anche evidenziarsi come una brutta cosa (anche molto brutta), ma rimane corretto il messaggio che ho intravisto e la realtà non si cambia. Fortunatamente sono abbastanza vecchia per sapermi arrendere all’evidenza.

Faccio canestro spesso, ma non c’è nulla di che vantarsi, c’è solo da prestare attenzione perché si è sempre sul punto di prendere un granchio. Discernimento e cautela permettono al messaggio di farsi chiaro al tempo giusto, né prima né dopo. Solo che una volta che lo hai letto, girarsi dall’altra parte è codardia e con questa ci devi per forza fare i conti anche se pensi che nessuno se ne sia accorto.

Fare canestro… Eh. Davvero una bella cosa.

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(725) Testa

Se ti parte la testa son cazzi amari. In tutti i sensi. Conviene tenersela stretta e comunque attaccata al collo. Sarà pure un’affermazione banale, ma tutti la perdono prima o poi e non tutti riescono a ritrovarla, perciò ricordarci dei cazzi amari che ci siamo smazzati a suo tempo – e ringraziare per essere riusciti a ritornare interi – non è poi così banale. 

Perdi la testa quando sei in urgenza di lucidità e quella s’è data perché le circostanze sono tumultuose. Non riesci a controllare quello che ti sta cadendo addosso e neppure te stesso, indifferente che si tratti di catastrofe naturale o innamoramento, le conseguenze sono le stesse: fai e dici cose che non stanno né in cielo né in terra.

Quando la ritrovi, la testa, ti auguri di non aver detto e non aver fatto quello che invece hai detto e fatto e speri che i testimoni superstiti siano stati colpiti da amnesia totale e non tengano memoria alcuna di te sul luogo del misfatto. Non è mai così. Ci saranno sempre foto e video ad immortalare certi momenti, che tu lo voglia o no.

Perdere la testa non è un gioco, non lo fai apposta, ti capita e basta. Non è nelle tue intenzioni, vorresti proprio scansarlo, ti capita e basta. E per quanto tu possa evitare di infilarti in situazioni maledette, non sei mai al sicuro. Certe cose non sono preannunciate da messaggeri dell’Olimpo, ti piombano addosso e ti atterrano. E basta.

E non ti sarà sufficiente l’intelligenza, la sensibilità, la compostezza, l’indifferenza e neppure la saggezza quando ti ci troverai in mezzo, in quel momento sarà la disperazione a spingerti oltre per farti sopravvivere. Sì, anche quando ti innamori.

Detto questo: si salvi chi può.

 

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(665) Lucidità

Faccio fatica a mantenere il controllo. Ormai è un dato di fatto. Faccio fatica. Non significa che l’ho perso il controllo, significa che faccio fatica. Fatica. Fatica. Fatica. 

La fatica uccide la lucidità. Quindi in realtà ho perso la lucidità. Eccoci al punto.

Essere lucidi è essere veloci, agili, vigili. Una gran condizione per affrontare qualsiasi cosa il mondo ti butti addosso. Lascia stare l’intelligenza e la sensibilità, perché spesso sono proprio loro a minare la lucidità di pensiero. Un giorno un amico mi ha detto: “Sei talmente intelligente da risultare stupida”. Sbang. Estremizzare l’intelligenza non ti rende migliore, evidentemente. La sto ancora digerendo ‘sta cosa, comunque. Vabbé, piano piano, ho i miei tempi.

La sensibilità, che è propria di chiunque al mondo respiri (mondo vegetale compreso), riduce drasticamente la capacità di discernere, di comprendere, di tenere le briglie di una realtà che cambia e si stravolge a seconda dell’angolazione da cui la guardi. E siamo tutti in balìa degli eventi – volevo aggiungere un’ulteriore banalità, così da rendere evidente la mia stupidità (no, non l’ho ancora digerita).

Ritornando alla faccenda del controllo, ormai me ne sono fatta una ragione: tutto quello che riesco a maneggiare con padronanza si può contare sulle dita di una mano, una mano di tre dita – tipo Ben-nemico-del-mal (ndr. che tutti noi quarantenni conosciamo bene) – e mi rifiuto di trasformare questo limite in un cruccio. Va bene, me ne posso fare una ragione, non controllo un cavolo fritto da una vita e non cambierà mai, neppure con l’avanzare della vecchiaia. Amen. 

Ciò non toglie che la lucidità me la voglio riprendere, non so ancora come, ma voglio proprio riprendermela tutta. Al più presto. Grazie.

 

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(404) Regole

Ci sono delle regole che seguo da una vita, sono regole che mi sono fatta per non perdere la brocca. Non è che mi sono messa lì e me le sono scritte (anche se conoscendomi non ci sarebbe da stupirsi più di tanto), ma si sono impresse dentro di me in modo naturale.

Spesso ho preso regole che hanno creato altri e me le sono sistemate su misura, per quel tanto che mi parevano giuste e adatte a me. Son bravi tutti a seguire regole fatte su misura, potrebbe dire qualcuno. Mi sento di dissentire: innanzitutto se le regole che ti dai le sai solo tu è un niente cambiarle appena non ti fanno più comodo, e poi penso che ci voglia uno sguardo bello lucido per cogliersi in fallo quando si trasgredisce e darsi una strigliata e rimettersi in carreggiata. Ecco, io lo so fare, sono più intrasigente con me stessa che con il resto del mondo terracqueo.

Per fare un esempio: la tanto citata “Non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te stesso”, è stato uno degli insegnamenti più importanti che io abbia ricevuto da piccola. I comandamenti sono dieci, ma credo che basti questo per sistemare tutto. I restanti sono specifiche per chi è gnucco e non capisce o fa finta di non capire. Non sono legata alla chiesa cattolica, ma a questo insegnamento sì perché mi ha segnato la vita, mi ha fatto immaginare che tipo di persona avrei voluto diventare, essere.

Ora, gestirsi con una regola del genere non è un giochetto, ti devi sempre bacchettare per una cosa o per l’altra, tutti i santi giorni ne combini una a cui poi sei tenuta a porre rimedio. Questa cosa mi dà un bel daffare da tutta una vita, eppure ne vale la pena. Sto diventando la persone che avrei voluto essere e prima o poi ci riuscirò.

Ci sono altre regole che cerco di seguire, regole che mi danno degli appigli quando sbarello e che ringrazio ogni volta che mi permettono di prendermi per i capelli e cavarmi dai guai. Non abbraccio le regole degli altri, a meno che non le senta giuste per me stessa. Il “giusto” è quella posizione d’equilibrio che ti fa sentire bene, che ti fa prendere possesso di te stesso senza forzature. Quella sensazione di ho-fatto-tutto-quello-che-potevo-con-quello-che-avevo che ti fa dormire sonni non dico sereni, ma di sicuro meno tormentati, che ti fa credere che domani potrai fare meglio.

Tutti noi abbiamo bisogno di regole, peccato che ci aspettiamo che siano gli altri a dirci quali devono essere e a pilotare il nostro stare bene e il nostro stare male, come fossimo delle marionette – e potrei anche riesumare Mangiafuoco, ma non lo farò.

La libertà non è cosa da mammolette, teniamolo ben presente prima di riempircene la bocca e puntare il dito su chi e su cosa ce la sta portando via.

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(322) Vino

La terra da cui provengo è terra di vigne e ottimi vini. Sono cresciuta in un ambiente dove si mangia e si beve in compagnia, non solo nei momenti di festa, ma sempre. Con moderazione nel quotidiano e smisuratamente se si festeggia.

Di fondo sono astemia, bevo un po’ e mi fermo. Mi autoregolo naturalmente, senza bisogno di pensarci, sono fatta così. Non so se sia perché ho visto da troppo vicino cosa succede quando si oltrepassa il limite, il limite dello stare bene. Basta poco e sei già al di là e lo stare bene si trasforma in stare male.

Crescendo ho scoperto un altro modo di gustare il vino, quello degli esperti. Ho visto il business e ho visto la magnificenza della comunicazione legata a questo prodotto della terra. Assaggiare, mi piace ma rimango comunque io e non vado oltre – anche a rischio di risultare poco conviviale.

Perché mi sono infognata in questo discorso? Forse perché rimango sempre molto colpita dalla capacità di andare oltre nonostante lo stare male che ci infliggiamo. Mi domando sempre il perché. Ho sempre creduto di difettare di amore nei confronti di me stessa, ma forse mi amo più di quello che penso e lo dimostro autoregolandomi.

Eppure, agli occhi degli altri non è così. Le cose sono due: o mi so nascondere un gran bene o manco di lucida percezione del reale. Rimango basita a prescindere.

 

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