(1038) Freschezza

La ricerca della freschezza sembra essere diventata un’ossessione di massa. E non mi riferisco alla cura per scampare alla calura estiva, ma a quella cosa che non ha sostanza e forse non ha modo di spiegarsi a sufficienza. È un dato di fatto che ci si inventa di tutto per vendere quella sensazione di freschezza che ci può risolvere la giornata: dal chewing gum al profumo, dal deodorante per ambienti alla maglietta di cotone. 

Mi sto domandando da settimane il perché senza venirne a capo. Bypassando le ovvietà, non riesco a capirne l’origine. E sono in questo tunnel – per il momento senza uscita – grazie a un collega avanti di mille miglia rispetto a me che mi ha buttato lì sul piatto la freschezza della comunicazione a cui bisogna puntare. Mettendo da parte il fatto che in quell’ambito pare io sia riuscita a dargli soddisfazione (un sollievo pazzesco), questa cosa qui si è propagata in ogni angolo del mio cervello e ho perso il controllo.

Cos’è questa stramaledetta sensazione di freschezza?

Il brivido di freddo che ti inebria? O un pensiero che ti racconta di un nirvana piuttosto inverosimile e quanto mai lontano da ogni immagine che uno si potrebbe immaginare nello spazio-tempo che comprende tutto l’immaginabile da qui alla fine del mondo? Mah.

La freschezza di un sorriso, la freschezza di un incontro, la freschezza di una storia… devo continuare? Francamente, a me viene in mente il Chilly (e dio-solo-sa-quanto-odio-il-chilly) e la questione del brivido-a-tutti-i-costi mi perplime parecchio. 

Va bene, ora che ho ammorbato tutti con questo inutile pensiero (ma pieno di freschezza, ammettetelo), credo me ne andrò a letto. E dichiaro che la frescura del temporale che ha appena attraversato il lago e sollevato tutti dall’afa è la benvenuta. A prescindere.

‘notte

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(786) Caricatura

Spingersi oltre per forzare una convinzione che non ci serve più, che forse non ci è mai servita, ma che ora si rende con evidenza nel suo peso e nel suo carico. Senti che non va bene, così non va bene, non è mai andato bene ma per qualche motivo che-dio-solo-sa-e-forse-neppure-lui ti eri fatta andare bene. A cosa stavi pensando? Che cosa ti aspettavi? Che diavolo pensavi potesse accadere di diverso? Che film t’eri fatta, santo-di-un-dio?!

Ma che ne so. Davvero che ne so.

Credo sia soltanto una questione di carico. Bisogna caricare, forzare l’immagine fino a distorcela, fino a farla deforme e orrenda e ridicola, soprattutto ridicola. Anche quando non ti viene da ridere. Anche quando ti viene solo da tirare calci. Anche quando hai voglia di andartene, di mollare quella dannata situazione e metterci una pietra sopra. Un masso sopra, meglio.

Quindi, considerato che la vedi arrivare da lontano ‘sta fine, perché non la acceleri? Bella domanda.  N-O-N-L-O-S-O. Se lo sapessi non starei qui a scrivere, non mi servirebbe scrivere se già sapessi i perché e i percome. Serve ripeterlo?

Aspetto perché voglio vedere fin dove si arriva. Aspetto perché voglio sperare che non serva finire. Aspetto perché vorrei non dover finire. Perché a forza di finire ci si fa il vuoto attorno e nel vuoto mi viene mal di testa.

Ma che ne so. Davvero che ne so.

So cosa faccio per finire: spingo e forzo le immagini finché non si trasformano e acquistano la loro reale identità. Le guardo e le digerisco. Ed è finita, da quell’istante lì è finita.

Adelante Sancho.

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(519) Harley-Davidson

Il sogno, e non si scappa.

Ci sono cose che si avverano, anche se non le sogni o non le desideri. Altre cose no (ed è una fortuna). Ci sono cose che sai si potranno avverare se la congiunzione astrale giusta si paleserà come linea del tuo Destino e non devi far altro che aspettare. Ci sono cose che non te ne frega nulla di far accadere, ti basta sognarle – e questo ti fa già felice di per sé. Ci sono cose che nonostante tu le sogni e le risogni ti scappano via finché è troppo tardi anche per continuare a sognarle. Maledizione!

Ogni volta che ci pensi ti viene un nervoso che spaccheresti tutto. Come si può accettare una cattiveria simile? Come?!

Allora smetti di sognare. Smetti perché sai che il veleno che si insinua subdolamente in ogni tua cellula quando sei dentro al tuo sogno ti ucciderà. Non puoi permettertelo. Non puoi più permettertelo. Perché il tempo si mangia gli anni in fretta e ti lascia lì ad arrancare con il fiato sempre più corto. Maledizione!

E al di là del fatto che non pensavi fosse possibile, al di là del fatto che non pensavi potesse fare così male, al di là del fatto che fai fatica a deglutire in certi momenti della tua giornata asfissiante, al di là di tutto – ma proprio di tutto – c’è anche il timore di scomparire. Come i tuoi sogni.

Se loro che erano me, ora non ci sono più. Io senza di loro che erano me come faccio ad esserci ancora?

E inizi a dubitare di esserci, inizi a dubitare di essere proprio tu. 

Poi ti imbatti in un’immagine che ti fa piombare di nuovo dentro il tuo sogno e ti perdi per un po’, soltanto per un po’. Ci sei ancora soltanto per un po’ e sei proprio tu. La stessa.

L’immagine la salvi, la metti in una cartella che porta il tuo nome e un’ammonizione: privato. 

E spegni tutto. Click.

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(494) Xografia

Ho trovato sul dizionario questo termine e mi ci sono innamorata. Non ho ben chiara la tecnica fotografica della xografia, ma me ne sono fatta un’idea del tutto personale – forse è per questo che l’ho raccolta e portata qui.

Ci sono certe parole che proprio ti chiedono di entrare. Sembrano stare lì da secoli solo per te, ti stanno aspettando. Non ti obbligano a scoprirle, ma a riempirle. Solitamente amo le altre, quelle che mi impongono una scoperta, ma queste qui che ti suonano vuote diventano irresistibili se quello che fai è scrivere. Ti devi inventare immagini apposta se non hai appigli.

Ci sono immagini nella mia mente che potrebbero assomigliare a magnifiche xografie.  Molto probabilmente, diventerebbero ridicole qualora le trasformassi in realtà e proprio per questo posso tenermele dentro, al sicuro, per sempre. Nessun obbligo di sorta, le alimento con il sogno senza provare l’urgenza di concretizzarle. Che sollievo!

Credo che quello che immaginiamo possiamo crearlo, magari non tutto subito e non tutto facilmente, ma possiamo farlo se lo immaginiamo con tutte le nostre forze. Spesso le forze ci mancano, però. Spesso ci vengono tolte da chi ci sta attorno e dal posto in cui viviamo. In realtà, mancano soprattutto dentro di noi e quel po’ che c’è può venire facilmente portato via dal primo che passa. Partire dal presupposto che possiamo immaginare e realizzare quello che immaginiamo può essere pericoloso se non supportato da una visione integrale della faccenda: ci devi mettere del tuo. Altrimenti è soltanto un sogno e i sogni sono desideri troppo delicati per sopportare la pressione terrena – li devi alimentare con ancora più attenzione o si sciupano e si polverizzano inesorabilmente. Ma mi sembra di averlo già scritto… probabilmente sono al secondo giro degli stessi pensieri, considerato che questo è il post 494, e via di loop!

Oggi ho riportato a galla il mio sogno più grande. Non lo scriverò altrimenti diventa pesante e perde i suoi colori, ma mi sono ricordata di questo sogno, questa immagine di me e mi sono stupita ci fosse ancora e così vivo. Una strepitosa xografia che neppure gli ultimi vent’anni hanno saputo spazzare via. Lo trovo incredibile e rassicurante. Non so perché io me lo sia ricordata proprio oggi e proprio ora, forse è solo un caso, ma ne sono felice.

Basta poco per ritrovarsi, a volte.

 

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(331) Glifo

Nascondere significati all’interno di un’immagine: geniale. Se poi l’immagine è semplice, quasi brutta, quasi ridicola, quasi assurda, ancora meglio.

Si tratta di catturare l’attenzione – in qualsiasi modo ti venga in mente – e arpionarla lì e farla prigioniera. A tempo indeterminato. Diventa un’ossessione, diventa una sorta di viaggio a spirale dove cadi cadi cadi e non ti chiedi neppure il perché o dove sei diretto perché non te ne frega niente.

Mentre cadi non c’è sofferenza, c’è movimento e nel movimento la mente suggerisce e scandaglia ogni spazio che le si apre davanti. Quello spazio dura un istante e viene sostituito con un altro spazio, forse più piccolo o più grande – che importa? – e la velocità può rallentare o schizzare oltre ogni limite senza scalfire la superficie del tuo enigma. Resti comunque lì, qualsiasi cosa succeda.

Ecco, se dovessi proprio scegliere cosa essere, sceglierei di essere un glifo.

 

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(111) Puzzle

Noi siamo le tessere del puzzle, ma qualcuno ci ha tolto la scatola con la nostra immagine di riferimento poco prima di arrivare qui.

Potrei dilungarmi giorni per spiegare questa mia conclusione, modesta e banale ma pur sempre mia, e non cambierebbe nulla rimarrebbe così: modesta e banale. E pur sempre mia.

Non è raro che le mie esternazioni siano modeste e banali, non lo dico come un vanto, anzi, ma è anche vero che sono il frutto di ragionamenti anche complessi che poi non riesco più a sostenere allora vado di semplificazioni e mi ritrovo modesta e banale. E affaticata.

Questa cosa del puzzle è perché li amavo molto da bambina, ne facevo di bellissimi (con tessere piccole e in numero spropositato), e mi sono resa conto qualche anno fa che mi stavo ricostruendo come fossi un puzzle. C’erano i pezzi di me sparsi in giro e, semplicemente, me li andavo a recuperare uno a uno per sistemarli bene. C’erano dei vuoti e ora ce ne sono molti di meno, mancava la cornice per la gran parte, ora sembra che la cornice ci sia tutta.

L’immagine la riesco a intravedere, forma e colori escono con forza, nell’insieme lo trovo bello questo puzzle, ma m’è venuto un dubbio: e se mi mancassero dei pezzi che non potrò inserire perché son finiti sotto il divano o li ha mangiati il cane o li ha buttati qualcuno nel cestino senza  neppure farci caso?

Mi sto rispondendo: pace. Sì, pace. Sarà quel che sarà. E non so se è una cosa buona oppure no.

[Sto per caso superando la mia mania di completare il quadro a tutti i costi?]

Mah! Vammi a capire!

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