(675) Pizza

Credo che la nostra lingua sia la più bella in assoluto, credo anche che sia la più pazza in assoluto. Mettiamo il caso della pizza: è una delle meraviglie culinarie di cui tutti vanno matti eppure se dici di qualcosa o di qualcuno che è una pizza significa che ti annoia e quando molli una pizza a un cafone lo fai per tenerlo al suo posto. Follia.

Mi domando come possiamo pretendere che arrivino da noi persone di altri continenti e che possano capirci o capire come far funzionare l’italiano tanto da destreggiarsi nel loro quotidiano senza tentennamenti. Follia.

Diamo per scontato che è molto probabile che il giapponese o l’hindi o il senegalese o l’innuit sia altrettanto complicato che l’italiano, se andassimo da loro adottando la loro lingua ci ritroveremmo come dei bambini balbettanti.

E la lingua che parli significa chi sei, da dove vieni, che cosa hai imparato e come lo hai imparato, significa un suono diverso e un respiro diverso, significa costruire pensieri con una logica che è il frutto della tua terra e dei geni che ti hanno lasciato in eredità. Significa tanto, significa tutto.

E noi, noi che abbiamo questi suoni e il lascito di bellezza e arte che ci invade ogni cellula, noi ci permettiamo di manomettere e sbeffeggiare la nostra lingua. Ci permettiamo di ridurla a rumore, a verso animalesco, a immondezzaio dove svuotare la pochezza dei nostri neuroni. Lo facciamo parlando e lo facciamo scrivendo. Pensiamo che quello che abbiamo ricevuto sia roba da poco, che si possa buttare o reinventare soltanto perché la pensiamo una pizza.

Bhé, comunque sia la pizza va bene in ogni stagione e in qualsiasi versione e soprattutto la pizza mangiata nel nostro Bel Paese è la Regina. E con questo ho finito di delirare anche per stasera. Buonanotte.

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(620) Glitter

Quando la realtà manca di luccichii bisogna glitterarla un po’. Non è cattiveria, la sua, è che le cose sono sempre troppo complicate e si perde brillantezza a star dietro a tutto. Una spruzzata di glitters e via! Cambia tutto.

No, non è vero, non cambia tutto, cambia un bel niente, ma forse diventa più sopportabile. O almeno ti sembra. E a volte quel “ti sembra” può salvare la speranza.

Come quando ricordi una persona che non c’è più e decidi di tirare fuori il meglio di quello che era ed è stato. In quel momento fai una cosa buona per te, per lei e per chi ascolta. Non è che è tutto lì, lo sai tu e lo sanno tutti, è che scegli di riportare nel presente qualcosa che di bello è accaduto in passato che l’ha vista protagonista, magari ti scappa ancora la stessa risata o anche soltanto un sorriso. Un po’ di glitter, ecco.

Questo intendo, obbligarsi a riportare un brillìo di qua e uno di là, riportarli visibili dove si erano spenti, altrimenti la cortina grigia piomba giù e chi osa più alzare la testa?

Lo si fa con l’ironia e con l’autoironia, che arrivano come spruzzate di acqua energizzante mentre sei sul lettino alle lampados. Basta poco e ti sollevi, ti scrolli di dosso la patina di drammaticità stagnante che ti schiaccia. Non so se è un’Arte che si impara, forse ci si nasce. Io ho la fortuna di averla nei geni, eredità che nella mia famiglia è stata coltivata e mantenuta viva e ben vivace, e credo sia il dono più grande che abbia ricevuto.

Una spruzzatina, prima-durante-dopo i pasti, sberluccicanti prismi che giocano con la luce che si colora. Cosa chiedere di più?

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(319) Eredità

Negli ultimi anni ho consolidato il mio credo: la vita acquista un senso rispetto alla morte solo guardandola in prospettiva, considerando quello che lascerai a chi rimane. Tutto si riduce a questo. Mentre vivi lasci traccia di te, se le tue impronte – lievi o marcate che siano – si fanno seguire volentieri… allora quello che hai vissuto non sarà stato vano. Quello che di te rimarrà sarà buono.

Negli anni le persone che ho perso le ho fatte comunque rimanere con me attraverso i ricordi che ho conservato di loro. Con alcune è stato semplice perché mi hanno lasciato tante cose belle, con altre è sempre difficile riuscire a tenerle strette perché i ricordi che mi legano a loro sono spesso duri come roccia.

Mi arrabbio con loro ancora: perché non vi siete curati di quel che avreste lasciato a chi vi stava attorno? Perché non avete considerato i legami emotivi e le ferite? Perché avete reso così arduo tenervi stretti e farvi ricordare con un sorriso?

Non pensavano fosse importante. Io credo lo sia. Anzi: credo sia l’unica cosa veramente importante. Amare e farsi amare. Nient’altro conta, in questa vita e in qualsiasi altra si andrà a finire (oppure no).

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