(686) Eco

Ci sono dei passi che hai fatto di cui ti porti ancora l’eco dentro, te ne sei accorto? Sono quelli che non finiranno mai, non importa quanto ci stai provando e da quanto tempo, non finiranno mai. Te li porterai dentro per sempre.

Non ho ancora capito se è perché dovevo fare altre scelte e il reminder diventa una sorta di punizione, o se è perché la scelta è giusta ma ancora non l’ho digerita. L’ho fatta, ma soltanto perché andava fatta nonostante il dolore che mi poteva causare. Soltanto che l’ho scoperto troppo tardi che l’eco del dolore non passa mai. Neppure quando non c’è più ferita, neppure se non c’è nemmeno una cicatrice. Mai. Rimane tatuato nel cervello e ti si ripresenta intatto anche a ricordarlo dopo un secolo. Questa è la vera maledizione del vivere.

L’eco stordisce, non sai da dove è partito il suono originale, non sei in grado di contare tutti i rimbalzi che ha fatto per arrivare a te, non sei nella condizione di poterlo schivare. Sei semplicemente sulla sua traiettoria e ti porterà con sé ovunque voglia andare. Mi piacerebbe poterlo prendere al volo, tenerlo in mano per guardare che faccia ha. Sono quasi certa che abbia la mia faccia, sì, non può essere altrimenti.

Penso anche all’eco di quel che ho fatto e ho detto in questi anni, sarà rimasto dentro a qualcuno? Non come una sottile vendetta per chissà quale peccato, no. Sarebbe terribile, non me lo perdonerei. Piuttosto come un’esortazione gioiosa, una richiesta al poter Essere-Presente, alla sostanza delle cose, dei fatti, delle persone, degli incontri. Questo sarebbe bello, fosse anche soltanto in una persona, sarebbe bello.

Chissà se l’eco di me, in qualche modo, riesce ad essere utile al mondo. Chissà.

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(307) Note

Le note si scrivono. Le note si suonano. Le note si intonano, come un bel maglione con il colore dei tuoi occhi. 

Quando ti impedisci di suonarle, le tue note, non la prende bene il tuo corpo e neppure la tua anima. Si crea un fraintendimento doloroso, come se il messaggio fosse sporco di un sottotesto crudele: “Non ti ascolto, non ti presto attenzione, non ti reputo importante per fermarmi un po’ con te e ascoltarti”.

Una dichiarazione di guerra, sembra, vero?

Ci sono stati giorni, lunghi anni e forse un decennio, in cui avevo smesso di notare le note, quelle che mi cadevano dalle mani, quelle che spandevo attorno a me come se le scorte non dovessero finire mai. Poi mi sono spaventata, quando anche a cercarle non riuscivo a farle risuonare dentro di me, sparite. Un corpo vuoto, senza eco, un’anima vuota senza riverbero vitale. Mi sono spaventata.

Mi auguravo che non fosse una condizione irreversibile, ho lottato affinché non lo fosse. Ora ho la sicurezza che non lo era. Ho note, nel corpo e nell’anima. E mi sto annotando tutto, tutto per bene per non dimenticarmelo la prossima volta che la realtà mi frusterà, la prossima volta che sarò schiacciata al suolo.

Note note note note note… è una questione di musica e non ce n’è per nessuno.

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