(991) Unicorno

Dovremmo averne tutti uno. Da tenere segreto, da tirar fuori quando le cose non vanno proprio bene. Dai, trasferiamoci tutti a Fantasilandia ed è fatta!

In questa nostra pesante realtà, un Unicorno potrebbe essere la capacità di auto-sostenerci con spunti creativi che riescano a risolvere le nostre miserie. Fattibile ma impegnativo. Bisogna non perdersi d’animo e mantenere un certo livello di fede nel proprio potere. Se ce la fai sei il/la King.

In mitologia, la creatura magica è uno splendido cavallo bianco con un corno in mezzo alla fronte che non si fa avvicinare se non da un cuore puro. Avrebbe comunque vita dura qui da noi. Forse lo sa ed è per questo che ci sta alla larga. 

A me basterebbe vederlo da lontano, o con la coda dell’occhio, così tanto per saziarmi un po’ della sua bellezza. C’è una sorta di consolazione nel riuscire a immaginarsi meritevoli, immaginarsi capaci di avvicinare una creatura talmente potente da non guardare a sé stessa come proprietà d’altri. Sapersi appartenere e basta.

Certe distanze siderali affaticano la percezione, raramente intercettano quel calore che rincuora. Queste distanze pagano il dazio ogni volta che pensano di poter varcare certi confini per saldare vecchi conti e mettersi in pari.

Ci sono Unicorni che ci galoppano attorno, credo, e noi non ce ne accorgiamo perché siamo confinati in terre desolate dove sappiamo soltanto rotolare, senza mai trovare pace.

Cos’è poi la purezza se non la resa al bene più grande?

 

 

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(865) Promesse

Ci sono promesse tacite che noi distribuiamo incautamente come se non avessero importanza. Queste promesse, una volta rotte, creano distanze incolmabili, che possono durare una vita intera. La presenza, per esempio, è una di queste. 

La tua presenza parla di quello che provi, è il tuo impegno, è garanzia di cura e attenzione per la persona che ti sta accanto. Anche se il tuo corpo c’è, quando ti allontani e la tua presenza manca, la distanza si mangia tutto. Bisogna volerlo davvero per mantenere questa promessa. Ogni giorno, in ogni istante. Un dubbio soltanto può spaccare tutto.

Il punto è che non possiamo fare finta di niente. Non possiamo pensare che solo quello che viene dichiarato sia reale. Nove volte su dieci è proprio ciò che abbiamo a parole promesso a essere una menzogna di comodo. I fatti sono un’altra cosa. Sono loro i testimoni delle nostre intenzioni, sono loro che parlano di noi e di quanto puro è il nostro cuore. Le promesse sono ben più solide di quello che vorremmo, se ce ne rendessimo conto prometteremmo di meno.

Mantenere una promessa è un riportarsi continuamente alla base, dove risiede la ragione della promessa. Il sentimento. Lì, esattamente lì. A volte ci manca il respiro per la portata inverosimile dell’impegno che ci viene chiesto, ma quando l’impegno è una scelta non c’è nessuno da incolpare. Se non noi stessi. Bisognerebbe andarci cauti con le promesse date queste premesse, no?

Ho rotto promesse in cui non ho mai creduto davvero, e me ne vergogno. Ho deciso molto tempo fa di non promettere più, ma ancora non ci sono riuscita. Ho preso impegni che sto mantenendo, lo sto facendo lavorando sul peso affinché non mi schiacci troppo a terra. Non ritornerò sui miei passi, quelle promesse sono solide e non si discutono. L’unica cosa che conta è che ci credo ancora, forse anche più di prima. Non posso che far fede su questo, sperando di non deludermi di nuovo.

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(815) Apparenza

In apparenza va tutto bene, ma sotto? Sotto la superficie, sotto la pelle? In apparenza le cose possono scivolare via, come se non fossero importanti, come se tutto fosse lo stesso. Raramente lo è, lo stesso, raramente l’apparenza ci può bastare. 

Apparire e scomparire, lo fa ogni mago che si rispetti, ma se ci pensiamo bene lo facciamo un po’ tutti. Forse meno magicamente, ma sempre in modo pressocché efficace. Lasciamo vuoti e colmiamo vuoti, incessantemente.

In apparenza ci si muove, si percorrono distanze inenarrabili, si vola, si cammina, si corre, si nuota, si pedala, si dà gas ai motori. Spesso rimaniamo fermi inchiodati ai nostri limiti, alle nostre debolezze, alle nostre vulnerabilità. Questo dovrebbe avere qualche rilevanza per noi, ma anche se in apparenza sembriamo tanto profondi, sotto sotto pensiamo di farla franca. Sbagliamo.

Apparire per mostrarsi a un pubblico, di solito non pagante, che però è pronto a dare il meglio di sé con opinioni, valutazioni, giudizi implacabili, che sanno esattamente come colpire. Apparentemente in buona fede. Ovvio.

In apparenza le cose che facciamo parlano di noi, le cose che mangiamo, che compriamo, che scegliamo. Non è così quando siamo consci dei riflettori e della portata del nostro apparire, che dovrebbe sempre giocare a nostro favore, mica contro. Certe volte ci riusciamo, altre meno, altre per niente. Ma non diamo mai colpa all’apparenza, pensiamo sempre che la sfiga in qualche modo s’è accorta di noi.

Va bene, anche per oggi sono apparsa. E ora è meglio che sparisca. Augh.

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(800) Misurare

Sembra che tutto si possa misurare, vero? Sembra che non ci siano confini al pesare, al calcolare altezze e lunghezze e larghezze e vicinanze e distanze. Sembra che in questo modo riusciamo a tenere tutto sotto controllo. Se lo quantifico, se lo delimito in metri/grammi/minuti tutto diventa gestibile. 

Se ti misuro e tu misuri me non c’è modo di sbagliarsi. Tu esisti entro i confini della tua misura e io della mia. Ci teniamo d’occhio a vicenda, sappiamo dove sono i punti di inizio e i punti di fine l’uno dell’altro. Easy.

E le complicanze? Le variabili? I dissesti? Di tutto questo possiamo fregarcene, basta chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie, girare le spalle, e tutto scompare. Tutto quello che esce dalla misurazione presa è come se non esistesse. 

Passano gli anni e quei confini si scopre che sono mobili, diventano sempre più claustrofobici, si restringono perché noi con gli anni lievitiamo, ci espandiamo, diventiamo più di quello che eravamo. Di più – sia in meglio che in peggio – perché siamo sempre una somma e mai una sottrazione di eventi, esperienze, dolori, gioie e varie ed eventuali. Più, mai meno. 

Tenersi aggiornati con le misure diventa una fatica, essere monitorati dagli altri per le nostre misure diventa irritante. Insopportabile. E allora cominci con gli scazzi, gli scarti, le finte, per sfuggire alla misurazione che in qualche modo, per qualche idiota motivo, hai sopportato fino a quel momento. E allora pensi che va bene se gli altri si limitano a misurarti anziché conoscerti, è un problema loro, non tuo. Tu puoi anche smettere di preoccupartene, puoi smarcarti dai righelli e dalle bilance, puoi ritenerti libera di  sconfinare e di farlo senza neppure aspettarti di essere compreso, senza neppure pensare di essere accettato per il tuo nuovo stato mentale. 

Puoi farlo, ormai sei grande.

 

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(31) Distanze

Le distanze, per come le sento io, non sono mai precise. Sarà perché sono astigmatica e il velo nebbioso rende tutto irreale. Difatti sto meglio quando guardo senza occhiali, mi rende le cose più facili.

A volte allungo la mano e sbatto contro qualcosa che si ritrae. Ho imparato a controllare l’istinto di farlo, mi è insopportabile il ritrarsi delle cose e delle persone. Non lo so, forse ha a che fare con il rifiuto.

Eppure io rifiuto.

Tengo la distanza che mi permette movimento perché sono lenta a ritrarmi e finisco sempre col tardare di un secondo in più e cado nella ragnatela. No, stavolta non è paranoia: è esperienza.

Vorrei ci fosse una via di mezzo possibile, per me, per la mia delicata percezione delle cose che nascondo per non farla pesare a nessuno. Vorrei essere vicino e lontano in contemporanea. Costantemente. Mi riesce solo a volte, quando sono troppo in tensione, quando ho paura.

Ora mi tolgo gli occhiali e rileggerò queste righe. Mi sembreranno migliori.

b__

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