(1003) Alba

Ci sono mattine difficili e altre meno. In quelle difficili, piuttosto che alzarmi dal letto mi taglierei i capelli (e ho detto tutto). Nelle mattine positive dopo la doccia inizio a ragionare e a reagire al mondo con una certa presenza. Non dico rapidità (quella arriva dopo qualche ora), ma una certa presenza sì.

Dopo questa premessa passo al nocciolo della questione di cui oggi vorrei parlare: ci sono mattine come questa dove mi sembra di stare vivendo la mia prima alba. Non so se basta ‘sta frase a rendere l’idea, ma forse non so dirla molto meglio di così.

Ne ho vissute parecchie di albe, e alcune di loro sono state accompagnate da una sensazione di inizio-nuovo, come se non fosse mai stato visto prima. Poi la giornata va come deve andare, magari uguale al giorno prima (le mie no, mai uguali a sé stesse), ma non è quello l’importante. Quello su cui vorrei soffermarmi è la sensazione del essere-nuova-per-davvero. In che modo? E chi lo sa? In qualche modo. Punto. 

E se fosse soltanto questo a contare, dopotutto? Una sensazione che può non avere né capo né coda, ma che ti avvolge e ti conduce chissà dove… Basterebbe forse per lasciare la porta aperta a qualche possibilità di cui non ci siamo mai accorti? Non lo so. Non ci ho mai fatto caso. Non ho mai valutato a posteriori se quella sensazione mi avesse poi portato realmente a posizionarmi in un nuovo assetto. Ma potrebbe essere proprio così.

Ho nella testa ben impresse una decina di albe-nuove che in quel-qualche-modo mi hanno poi determinato piccoli e importanti cambiamenti. Ma sospetto di averne dimenticate altre perché troppo distratta o troppo “chiusa” rispetto al mondo e anche alla vita. 

Forse devono restare in memoria solo quelle che hanno fatto la differenza, le altre è giusto lasciarle andare. O forse è solo una cosa che mi dico per non sentirmi in colpa per averle lasciate andare senza neppure un grazie.

Stamattina l’ho fatto. L’ho ringraziata. 

Spero valga per tutte le altre che mi hanno portato del bene e che ho dimenticato.

Spero di essere meno distratta e meno chiusa, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Con me non si sa mai. 

Eh.

 

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(999) Imbarazzo

Stamattina parto da casa, check mentale per essere sicura di avere preso tutto, e arrivo in ufficio. Non ho le chiavi. Dove sono? A casa.

Non ci sono molti modi per dirlo: sono del tutto rincoglionita. 

Per quanto io riesca a fare mente locale, c’è sempre qualcosa che mi sfugge e non me la cavo sempre bene nel metterci le toppe. E ci sono volte, come oggi, dove mi guardo e provo imbarazzo per me stessa. Ma a cosa stavi pensando, Babs?! Non lo so, immagino a niente, o a tutto in contemporanea. Immagino che la mia testa prenda vie che non conosco e che non sempre mi rivela. Immagino che certi dettagli di solida realtà rimangano nascosti chissà dove perché troppo pesanti per portarmeli in giro e quindi li dimentico. Immagino.

Immaginare è la cosa che mi viene meglio. Imbarazzante.

Partire per andare a un concerto e lasciare i biglietti sulla scrivania, trovare le chiavi di casa in una borsa e perderle dopo neanche dieci minuti, uscire con l’ombrello e ritornare senza, rispondere gentilmente “sì, certo” e rendersi conto di non aver ascoltato la richiesta… cose così. Imbarazzante.

Ora, non credo che le cose miglioreranno nel tempo, al massimo andranno a peggiorare, ma forse mi posso consolare con tutte le cose che ricordo. Voglio dire ne ricordo molte di più di quelle che dimentico. Anche perché quelle che dimentico le ho oggettivamente dimenticate, quindi non fanno testo. Se dovessi fare una lista di tutte le cose che ricordo non mi basterebbero mille quaderni, che diavolo pretendo dalla mia mente?

Ecco, come riesco a sistemare le cose io – nell’indulgere con i miei vuoti – nessuno. 

Imbarazzante.

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(802) Data

Lo diamo per scontato, pensiamo che sia facile, invece fissare una data non è mai facile. Mai. Né fissarla in calendario né nella memoria, a meno che non sia segnata prima nella tua carne perché importante per te. Così importante da non potertela dimenticare.

Odiavo studiare storia per la sfilza senza senso di date da imparare a memoria, battaglie e conquiste e sconfitte, ognuna di loro sembrava fondamentale e poi scoprivi che era solo una delle tante e che di lei nessuno se ne faceva più nulla. Andiamo per balzi, fatemene memorizzare un paio per secolo e vedrete che saprò fissarne una ventina senza troppi scompensi neuronali, tranquilli prof. Niente da fare. Insensato.

Le date si fissano e per qualche motivo slittano, come se la superficie su cui le punti fosse cosparsa d’olio. Più ti fissi nel fissarle e più sfuggono al controllo, manco avessero un proprio volere da imporre. Vincono sempre loro, comunque.

La data mi è vitale per tenere conto dei giorni che mi stanno triturando, faccio fatica al mattino a ricordare che giorno è quello che sto per affrontare e vivere, come se nella mia testa ci fosse un giorno ininterrotto dove il presente è un ripetersi di un qualche passato e il futuro sia soltanto un breve passaggio da qui a lì. Boh.

E i lunedì sono come i venerdì, ma più pigri anche se meno stanchi. I martedì hanno poco peso perà sommati al peso dei mercoledì e del giovedì fan venire il mal di schiena. Ecco, la data è un ancoraggio che a volte vorrei togliere per provare a non avere ieri e neppure oggi e figuriamoci domani, avere solo l’adesso e vedere come va. Come potrebbe funzionare?

Forse non funzionerebbe, forse ogni mia data è la ragione per cui ancora sto qui. E scrivo.

Boh.

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(794) Segnalibro

Ormai uso i post-it, perché nei libro che leggo solitamente ci sono sempre mille passaggi che devo ricordare e che vorrei ricordare – anche se raramente ne ricordo più di una manciata (per evidenti limiti neuronali). Mi piace sottolineare le righe che dovrei memorizzare, se lo faccio ci sono più probabilità che mi si imprimano in testa e comunque so che se lo riprenderò in mano dopo qualche tempo basterà seguire i post-it e le sottolineature e ricomporrò velocemente tutto il resto. 

Faccio lo stesso anche con gli eventi che si introducono nella mia vita, alcuni li sottolineo dentro di me con forza perché non voglio farmeli scappare. Ad altri ci metto il post-it perché vorrei far presente a me stessa che non serve replicare l’esperienza, già l’ho fatta e già m’è servita. Tanto basta.

Mi sono accorta, però, che ne ho troppi di post-it sparsi tra i giorni attraversati e ormai le pagine si sono gonfiate e sembra tutto troppo. Troppo da ricordare, troppo da accettare così com’è, troppo da sopportare. Sto pensando di alleggerirmi il carico e toglierne alcuni. Soltanto alcuni. Magari quelli che hanno colori sbiaditi e che coinvolgono persone ormai lontane. Inizierò da questi e vediamo che effetto che fa.

Sono incerta se dare loro l’addio o semplicemente toglierli facendo finta di niente. Non so se poi rimpiangerò il momento del distacco, perché troppo frettoloso e poco celebrativo. Non lo so. Per alcuni penso di aver dato più che abbastanza, per altri meno, ma in fin dei conti non è che posso pretendere di essere sempre equa e giusta. Posso pure perdonarmi qualche mancanza, no?

Il segnalibro oggi lo posizione tra le parole “mancanza” e “perdono”. Credo sia un buon inizio e, tutto sommato, una fine onorevole. Sì, onorevole.

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(733) Volare

Forse ho dimenticato come si fa. Dico forse perché mentre ci penso mi distraggo, come se qualcosa mi portasse via per non farmene accorgere. Mi disturba non essere in grado di misurare quel che di me ho perso. Mi lascia troppe domande aperte e mi sento gelare.

Volare mi riusciva piuttosto bene, riuscivo a staccarmi dal mio stato materiale per immaginare quello che avrebbe potuto essere e che – forse – speravo che sarebbe stato. Temo che il fatto che non si sia mai avverato nulla di quello che immaginavo giochi un ruolo determinante nel mio stato attuale di impossibilità a librarmi in volo. Non ci riesco, rimango ancorata alla terra, a quello che c’è e a quello che sta per accadere. Mi si strozza in gola il respiro e mi sembra che sia questo l’unico respiro disponibile per me ora.

Ora? Sì, ora che sono grande. Ora che al massimo posso invecchiare, ma non posso più crescere ed espandermi. Ora che devo ritirare un po’ le armi, giocare più d’astuzia che di impeto passionale. Ora che riflettere è diventato l’imperativo e comprendere si rende bussola indispensabile per segnarmi il cammino.

Non ho troppa voglia di fare conti e calcoli per capire che landa desolata io stia sorvolando mentre il motore in avaria mi sta imponendo un atterraggio di fortuna. Eh, sì. Fortuna che me ne sono accorta in tempo, fortuna che son ancora qui a raccontarla, fortuna che ho ancora braccia e gambe per proseguire, fortuna che gli occhi mi si sono asciugati e che il bisogno di orizzonti azzurri non è più un’ossessione ma soltanto una nostalgia, una delle tante. Anche se la nostalgia annebbia la percezione del valore delle cose presenti, chi riesce più a farne a meno?

Volare, per quanto ormai mi è possibile, è un volare breve a bassa quota. Temo non sia più un vero volare, ma soltanto il ricordo di quel che ero solita fare senza chiedere il permesso a nessuno, senza inventare giustificazioni. Non dico che stavo meglio prima di ora, eppure sapere che mi sono dimenticata di come si può raggiungere il cielo con il cuore brillante mi rende triste. Sarà che è tardi, sarà che sono stanca, sarà che manco in questo momento d’immaginazione. Chi lo sa.

Chi lo sa.

Buonanotte.

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(678) Nonsense

Ognuno di noi ha i suoi nonsense, assurdità brandizzate e spesso originali – ma meno spesso di quel che ci si immagina. La mia lista è lunghetta, non lo nego, ma non è un vanto. Tutt’altro.

Mi piacerebbe essere coerente e tutta d’un pezzo, per certi versi lo sono (in modo impressionante), ma per alcuni dettagli no. ‘sti dannati mi scappano via e mi trascinano dove non vorrei: nell’assurdo.

Quello che trovo più fastidioso di tutti è che non riesco a essere incazzata per più di un tot. Cioè, me ne dimentico proprio. Soltanto per tre volte in tutta la mia vita ho mantenuto fede alla promessa: mai più. Nel senso mi-hai-fregata-una-volta-e-la-seconda-non-è-prevista-manco-se-muoio. Tutte e tre le volte si trattava di cose basilari spinte all’ennesima – come la fiducia, l’onestà, la lealtà. Ecco, tutte le volte nelle quali l’entità delle cose era molto meno pesante io… me le sono dimenticate.

Cavoli, c’è gente che riesce a tenermi il muso per settimane intere, e io? Non duro manco un giorno. Neppure se me lo impongo, se mi controllo, se mi faccio i ragionamenti giusti. Niente.

Sospetto sia il gap dell’essere-per-forza-amabile-per-poter-essere-amata che mi porto dietro da sempre, ma non voglio dargli molto peso altrimenti chissà dove finisco. Devo far finta di niente, ridere di me e tirare avanti.

Ok, dopo questa deplorevole confessione aggiungo anche che: non faccio fatica a incazzarmi, anzi, mi incazzo almeno dieci volte al giorno con modalità diverse – so essere creativa – faccio solo fatica a ricordare. Difetto di memoria non di indole combattiva. D’altro canto sono del segno del toro, inutile ricordarlo.

Siete avvisati.

Peace&Love

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(609) Preferire

Preferisco tacere quando sono veramente incazzata. Preferisco tacere anche quando sono fortemente in disaccordo, farmi passare i primi 10 minuti di furore e poi tradurre più serenamente il mio disaccordo in modo che risulti il più civile possibile. 

Preferisco il silenzio alla musica mediocre, perché anche se è mediocre quando mi entra in testa non c’è verso di farla uscire – per ore intere. Preferisco qualsiasi musica a tutti i silenzi branditi come armi di distruzione. Preferisco la musica che posso cantare e preferisco il mio silenzio a quello degli altri.

Preferisco guidare che fare da viaggiatore a traino. Preferisco volare piuttosto che camminare, per questo mi sarebbe piaciuto prendere il brevetto di volo o lanciarmi col paracadute – non c’entra niente, lo so, o forse sì.

Preferisco preferire qualcosa o qualcuno anziché farmi piacere tutto o non farmi piacere niente. Scegliere mi viene facile, non scegliere è un’agonia che cedo volentieri. Male che vada ho scelto male, pazienza, vedrò di rimediare in qualche modo.

Preferisco non soffermarmi sulle cose che mi danno fastidio, ma faccio fatica a dimenticarmele. Ho una sorta di spugna in testa che non rilascia un cavolo e continua ad assorbire assorbire assorbire. Ha una tenuta sorprendente e sono terrorizzata dalla possibilità che a un certo punto rilascerà le parti che non vorrei dimenticare per lasciarmi sola con le cose che dovrei dimenticare. Sì, avrei bisogno di uno psicoterapeuta in gamba, lo so.

Preferisco star qui a scrivere le mie idiozie e far finta che un giorno qualcuno le leggerà, che guardare la televisione – qualsiasi canale, qualsiasi programma, qualsiasi faccia vi compaia in qualsivoglia orario diurno o notturno. Preferisco leggermi un buon libro e rinunciare a un’uscita con la persona sbagliata – il tempo è un privilegio che non va ingannato.

Preferisco parlarmi chiaro per evitare di eludere concetti che poi mi chiederanno il conto, conto sempre salato. Preferisco, spesso, pagare un conto molto salato pur di arrivare alla verità oggettiva, perché della mia versione strettamente soggettiva – utile com’è – solitamente non so che farmene.

La lista potrebbe continuare, ma sto crollando sulla tastiera per sfinimento neuronale. Buonanotte.

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(255) Zitta

Ogni tanto me ne sto zitta. Cerco di dimenticare un po’ il suono della mia voce. Uso molto la voce e quando si stanca se ne va.

La seconda volta che se ne è andata era pieno inverno scozzese, non era affatto facile lavorare afona, ma mi sono rimessa al suo volere. Ero sorpresa, non usciva un suono dalla mia bocca per la prima volta dopo anni e non ero costretta a ribattere, non ero obbligata a interloquire, potevo evitare di dire la mia – una volta tanto. Una pausa benedetta.

La prima volta che è successo mi erano state tolte le tonsille. Una settimana di bigliettini su cui appoggiavo le parole con l’inchiostro blu, nero, rosso o viola – assecondando l’umore. Dapprima irritata, poi compiaciuta: nessuno si aspettava nulla da me, potevo pensare e basta.

Dare modo alla mia voce di riprendersi il sacrosanto diritto al silenzio è un dovere che mi sono negata per troppo tempo. Spesso sono stata zittita malamente da qualcuno, ma ha funzionato soltanto per il tempo dello stupore. La reazione ha sovrastato ogni aspettativa. Se resto parlo, e posso dire troppo, se me ne vado ti consegno il mio silenzio imposto e quello urla a più non posso.

Ecco, ogni tanto me ne sto zitta. Non tutto il giorno e non per sempre, ma mi prendo lunghe ore per lasciare libera la mia voce di viversi silente. È quando la sento in affanno, furiosa o confusa. Le lascio il tempo di riprendersi, d’altro canto è lei il mio sostegno.

E, zitta zitta, osservo e ascolto. Osservo e ascolto. Qualche volta scrivo. Anzi, spesso scrivo.

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