(1051) Garanzia

Nessuna garanzia che quello che esprimiamo a parole venga recepito in modo corretto. Quel ponte è fragile, come tutti i ponti del resto. Bisogna che ce ne rendiamo conto una volta per tutte: tutti i ponti sono estremamente fragili. Necessitano di manutenzione continua. Non li puoi dare per scontati, non li puoi lasciare lì e basta, non durano per sempre, devono essere rinnovati.

Nessuna garanzia che quello che proviamo sia qui per restare. I nostri sentimenti possono rafforzarsi o smorzarsi grazie o a causa di molte cose, molte moltissime cose che non possiamo controllare. E una volta che se ne sono andati fanno fatica a ritornare, perso il vigore (odio o amore che sia) non sono più utili a nessuno.

Nessuna garanzia che quello che hai oggi tu lo possa avere anche domani. Darlo per assodato viene a tutti molto naturale e quando la perdita si concretizza siamo sempre sorpresi, siamo sempre offesi, sempre indignati con il Destino che ce lo ha voluto togliere (anche se non gli davamo nessun valore, anche se non lo abbiamo mai curato, anche se era buttato in un angolo e ce lo eravamo dimenticato).

Le garanzie, quelle sancite con “soddisfatti o rimborsati” sono ben poche, e bisognerebbe stare attenti alle clausole contrattuali, quelle scritte a carattere 6 che neppure la supervista di Superman saprebbe riconoscerci il marcio. Eppure, prima di fidarci pretendiamo di avere in mano le garanzie del caso. Il che va bene, perlamordelcielo, ma oggi mi domando quali garanzie sarebbero sufficienti per farmi rinascere dentro la fiducia vera, quella che un tempo provavo e che da molto moltissimo non provo più?

Nessuna potrebbe restituirmi quel sentimento, che se ne è andato per una buona ragione e che si è portato via la bella parte di me che poteva abbracciare senza timore.

Mi preferivo prima. Garantito.

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(970) Commozione

Può essere per una riga letta in un libro, particolarmente intensa o semplicemente bella. Può essere per un gesto di tenerezza inaspettato, non necessariamente a me rivolto. Può essere per una parola che mi arriva e che mi apre un varco che mi risucchia e mi trasporta lontano. 

Oppure per una canzone o per qualcuno che danza con l’Anima scoperta. Per un ricordo, per chi non c’è più. Per una borsa pronta per un viaggio, che dentro ci sono pezzetti che sai ti peseranno ma che non puoi lasciare a casa.

Sì, mi commuovo facilmente. Ma ho imparato a nasconderlo. Per pudore, credo.

Forse in faccia mi si legge, ma se riesco a ricacciare dentro agli occhi quelle gocce rivelatrici allora mi sento salva. Non serve che dia spiegazioni. Sono fatta così.

Soltanto a poche, pochissime, persone permetto di assistere allo scempio di me stessa quando davvero non riesco a controllarmi. Loro mi sono preziose perché sapranno tenerlo per sé.

Mi piace il fatto che so ancora piegare un angolo del mio cuore per inchinarmi alla Bellezza che incontro. Ho buone speranze che sarà sempre così, perché ormai ho passato la metà della vita e certe cose, se hanno resistito in me per tutti questi anni, non se ne andranno soltanto perché divento vecchia.

Ad ogni modo, ho sempre la corazza del mio pudore su cui contare per evitarmi il ridicolo. Speriamo che non mi abbandoni per sfinimento.

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(908) Biglia

Ogni tanto mi sembra di essere una biglia. Che uno mi può dare un colpo con l’indice ben calibrato dal pollice e zak, parto. In direzione di qualcosa che diventa meta. Quell’uno, credo sia un Essere Superiore che decide di me. Io posso poco. Vengo direzionata e tirata come una biglia. Stop.

Questo potrebbe suonare come una giustificazione, oppure come una resa (del tipo siamo-tutti-in-balìa-del-Destino-avverso), ma ormai dovreste conoscermi, non è così che vivo.

Quello di cui sto parlando è una questione un tantino più sottile, che scivola sotto le cose e che in qualche modo fa loro da tapis roulant per trasportarle altrove. Ci sono centinaia di motivi per cui questo scivolare si rivela come una benedizione per la maggior parte delle volte e, uno dei migliori, è che se controlli tutto blocchi tutto. Le cose hanno una loro energia, una loro frequenza, una loro vibrazione (sono i segreti dell’Universo, insegna Nikola Tesla). Tu sei qui per entrarci dentro e comprendere il gioco, non per pilotarlo.

E ogni volta che ti ostini, ogni volta che trattieni, ogni volta che sistemi e risistemi e sistemi ancora, non fai altro che bloccare l’energia, cambiare la frequenza e disturbarne la vibrazione. Un disastro.

La biglia che va a colpo sicuro sul bersaglio non ha scelta, ci va e basta. La forza con cui viene tirata decide per lei e lei va. Non si gira neppure a guardare chi l’ha tirata, se ne frega, va e basta. C’è un senso in tutto questo, può non far piacere, ma un senso c’è. Soltanto una biglia può capirlo davvero, ma ricordiamocelo che una biglia non può sbagliarsi. Soprattutto se centra il bersaglio. E quando il tiro è sapiente, il bersaglio va giù. E la biglia è lì per questo.

E la biglia lo sa.

 

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(409) Pacemaker

Regolare il passo, è un concetto che mi affascina. Fossi capace di regolare il mio passo non mi troverei semprea altrove rispetto al passo che sto facendo. E no, non è una cosa che riesco a spiegare, è soltanto quello che è. Non ci posso fare niente, non riesco a stare al passo con me stessa. Amen. 

Però, regolare il passo sarebbe la soluzione a tutto. Non so da che parte si cominci, se qualcuno lo sapesse e me lo volesse far sapere mi farebbe un gran favore, ma la cosa importante, per ora, è rendermi conto che esiste una via e che questa via si chiama “regolare il passo” tradotto “pacemaker” (in inglese fa più figo, come al solito).

Regolare ha valore di “gestire”, cioé calibrare le energie, l’attenzione, le forze ecc. ecc. ed è sicuramente il modo giusto per fare le cose, soltanto che nel mio quotidiano le cose non seguono la programmazione, vanno come vogliono e senza criterio. Ho speso anni a cercare di domarle, nessun risultato. In questi ultimi mesi (più che altro per sfinimento) mi sono arresa: “Fa un po’ quel cazzo che te pare!” – per dirla alla Osho. E comunque le cose accadono, si sviluppano, crescono e si sistemano da sé. Anche senza il mio controllo, senza la mia programmazione, senza la mia resistenza alle catastrofi. Questa cosa mi sconvolge.

Dando per scontato che il controllo che ho sempre cercato di mantenere è totalmente ininfluente e rasenta il ridicolo, a questo punto una gestione del passo potrebbe essere quella santa via di mezzo che tanto aspettavo. Seppur forte di questa nuova presa di coscienza, però, sto sempre ferma sul: da dove si comincia?

Perché non è che fermo il mondo, sistemo il passo e poi lo rimetto in moto. Non credo sia una cosa alla mia portata. Quindi, ragionando, dovrei scoprire qual è il passo del mondo e adeguarmici. Non funziona, anche se mi ci mettessi di buona lena lo perderei dopo un nanosecondo, perché non è il mio. Cosa rimane da fare? Lo ignoro bellamente.

Le teorie stanno a mille  e la realtà se la ride, a mie spese ovviamente. Senza fare troppo la Will il coyote della situazione, vorrei comunque trovare il sistema più alla mia portata per regolamentare l’afflusso di sangue al cuore e al cervello (po’racci) perché ho come la sensazione che così non possa durare a lungo.

Forse un po’ me la tiro addosso, è sempre andata così e non vedo perché adesso dovrebbe essere diverso. Forse certe riflessioni fanno più male che bene. Forse preoccuparsi del fatto che non c’è una soluzione non è troppo intelligente. Forse non posso pretendere troppo da me. Forse è meglio che me ne vada a letto, la mancanza di sonno mi è deleteria.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

 

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(149) Segreti

Non sono una fan dei segreti, penso che meno ne hai e meglio dormi. Mi sono accorta, però, che ho sempre dato a questa parola un significato pari a mancanza di chiarezza/onestà. Forse le ho fatto un torto.

Mi è successo sovente di essere stata fraintesa nonostante il mio cercare di attenermi alla chiarezza, nei rapporti umani che intessevo. La chiarezza, in questo ambito, è diventata per me con il tempo una solida utopia.

Riprendendo in mano il concetto di cui sopra, non credo più che avere degli angoli segreti dentro di te – dove riporre le cose più preziose – sia correlato alla mancanza di onestà. Credo sia, invece, un buon modo per proteggersi dalle burrasche incontrollabili, quelle causate dalle reazioni di chi ti sta attorno quando, anziché comprendere, vuole giudicare.

Non ho mai forzato la porta di una stanza segreta altrui, penso sia un luogo che deve rimanermi inaccessibile. Non mi fido della mia capacità di accettazione. Voglio evitarmi di cadere nella trappola del facile giudizio sparato lì solo perché lì c’è qualcosa di delicato che si mostra.

Pretendo sia questa la posizione di chi vuole starmi accanto. Lo chiamo rispetto ed è sacro.

 

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