(929) Sintonia

Se vogliamo far funzionare le cose dobbiamo per forza di cose entrarci in sintonia. Non puoi far finta di niente, se ci devi avere a che fare devi trovare il modo di accordarti, o non ne vieni a capo.

Se devi lavare i piatti e odi farlo e approcci il doverlo fare come una sciagura, a parte farlo male, rischi di romperne almeno uno. 

Se devi relazionarti con una persona e questa persona a pelle non ti piace e ti avvicini a lei con riluttanza, dai per certo che sarà una tortura averci a che fare.

Se odi quello che fai, lascia stare, trova qualcosa che sia più in armonia con quello che sei.

Se odi la persona con cui ti interfacci quotidianamente, fai una bella cosa: libera te stesso e tutti e interrompi i contatti. 

Che sia difficile farlo è una scusa, tutto è difficile se lo pensi impossibile. Che sia complicato portare a buon fine l’intento ci sta, ma si fanno tante cose complicate senza battere ciglio soltanto perché diamo per scontato che bisogna farle. 

Se sei in sintonia con l’ambiente che ti contiene, con le persone che ti circondano, tutto si risolve meglio. Più in fretta e con meno danni collaterali, anche i problemi più tosti. Si è insieme, che vuol dire tanto. Vuol dire davvero tanto. 

Se, invece, preferiamo il conflitto e lo stress che ne consegue allora cerchiamo le persone che la pensano come noi e convogliamo la nostra energia distruttiva su di loro, tanto loro faranno lo stesso con noi e la guerra sarà equilibrata. Son bravi tutti a fare la guerra a chi vuole solo stare tranquillo e vivere in pace, si vince facile no? No, si perde comunque, solo che è meno evidente.

La sintonia è tutto. Quando lo capisci sei già in salvo, non potrai più far finta di niente. Cosa scegli?

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(867) Altezze

Arrivarci, magari, a certe altezze. Già. Ma poi cadi giù. Eh.

Allora ci si pone una domanda: ma ne vale la pena? E purtroppo la risposta è sì. Ogni tanto arrivare in alto fa bene, e per la discesa… bé, si impara anche a cadere, se lo metti in conto ci pensi prima. No?

La continua ricerca del brivido diventa dipendenza, ma anche l’ostinata ricerca della pace. L’ossessione non porta alla pace, questo è certo. Non capisco perché siamo così tormentati dal fatto che non abbiamo pace. Certo che non ne abbiamo, stiamo vivendo, mica siamo morti. La pace è dei morti. Il quotidiano infernale non ci permette sosta, ma neppure se scegliessimo di vivere tra le montagne nepalesi. Avremmo fame, sete, sonno e magari anche voglia di fare l’amore. Abbiamo un corpo, siamo qui per questo, per avere a che fare con il nostro corpo. Il corpo ha bisogno di provare, di sentire, di farsi attraversare. E poi tiene memoria. Credo sia in questa memoria che le cose si complichino. Come fai a tenere testa alle memorie? Non lo so.

Se il tuo corpo non ha mai conosciuto la fame, quella vera, non la puoi comprendere con la mente. Troppo grande per poterla immaginare. Se non hai mai conosciuto l’Amore, quello vero, non lo puoi comprendere con la mente. Lo puoi immaginare, ma non sarà mai vero, sarà una proiezione di te stesso e non è che abbiamo proprio una visione chiara di noi stessi (ammettiamolo), sufficiente a metterci al sicuro. Anzi. Significa che un Amore reale può spiazzarti, ti rende immediatamente vulnerabile, non potevi pensarlo così, il tuo corpo non si era mai fatto attraversare da quella potenza e tu… non ti riconosci come quella persona che hai continuato a frequentare per anni e anni e anni (con una certa assiduità, per di più).

Tutto molto semplice, tutto molto complicato, tutto molto doloroso, tutto incredibilmente affascinante.

Quindi ci si augura di arrivare ad altitudini imbarazzanti, pensandole e immaginandole e desiderandole come mai saranno, mai potranno essere. Perché la realtà è un’altra cosa, ma non è meno, è soltanto un’altra cosa. Dovremmo pensarla diversamente, guardarla diversamente, sentirla diversamente per poterla apprezzare per quello che è. Ognuno di noi trova il suo modo, non è una questione di giusto o sbagliato. L’importante, credo, è farci caso e prestarle attenzione. Sarebbe un peccato perdersi una cosa così magnifica soltanto perché ci siamo intestarditi a immaginare anziché vivere.

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(818) Domani

Se sei fortunato arriva, il domani arriva. Quando arriva, però, puoi fingere stupore e puoi fingere gratitudine ma non puoi fingere che il tuo ieri sia stato all’altezza, che sia stato onorevole, se così non è. Non puoi perché le conseguenze si ripercuotono inesorabilmente nel suo domani. E il domani diventa oggi prima di diventare ieri, quindi in poche parole: sei fottuto. O ti vivi bene l’oggi o ti rovini il passato e il futuro. Semplice, ovvio, dannatamente sottovalutato.

Ci sono stati degli oggi nella mia vita dove mi domandavo costantemente (minuto dopo minuto) perché diavolo fossi finita in quella situazione. Minuto dopo minuto, ora dopo ora… non c’è niente di più asfissiante.

Ci sono degli oggi nella mia vita dove mi dico: che figata essere qui. Questi sono gli oggi che preferisco, ovviamente. Non mi riesce con tutti gli oggi che vivo, ma sto migliorando. Quindi i miei domani sono su un altro livello. Superiore senza dubbio.

Ho sempre pensato che domani sarei riuscita a dare una svolta alla mia esistenza, perfino quando mi trovavo in piena svolta. Il mio concetto di svolta, forse è da rivedere, me ne rendo conto. Volevo fare altro, fare ancora di più e mi muovevo per realizzare quel domani. L’oggi che vivevo era di impegno, di concentrazione, raramente di divertimento. Mi domando chi me l’ha insegnato che per lavorare bisogna essere grevi… se ti diverti non viene meglio tutto?

Credo di averlo testato sulla mia persona e credo sia per questo che ora quando penso al domani lo faccio con meno ansia, con meno concentrazione. So che con le premesse di oggi, con le esperienze di ieri, il mio domani non potrà essere disastroso. Magari difficile, magari duro, magari complicato. Certo, ci sta. Non disastroso, però, perché in qualche modo saprò dove andare e saprò dove attingere la forza per affrontare tutto.

Domani andrà meglio. E non è così tanto per dire, è un calcolo matematico preciso, lineare. Domani sarà meglio di oggi. Domani sarà sicuramente meglio di ieri. Domani, spero arriverà, sarò ancora qui a scriverlo.

A domani.

 

 

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(553) Calimero

Col detersivo giusto, Calimero tornava bianco e ritornava dalla sua mamma. Ricorda qualcosa vero?

Una vocina irritante, un atteggiamento irritante, un personaggino irritante che ha segnato l’infanzia di chi è nato negli anni ’70. Irritante pure questo, no?

Stavo pensando che spesso ci fanno passare per cose di valore cose che non lo sono affatto. A noi suona storto, ma ci ripetono che ci stiamo sbagliando, che quello che pensiamo, quello che sentiamo, non va bene.

Non va bene. Qualcuno ti dice che non va bene e a te dovrebbe bastare, dovresti smettere di pensare e di sentire come pensi e come ti senti perché qualcuno ti dice che non va bene. Ormai quello che va bene e quello che non va bene ha contorni talmente stemperati che sembrano non esistere più. E anche la questione di chi ti dice che non va bene si è complicata. Ti dicono che non va bene e poi scopri che sono loro che non vanno bene. E cosa fai se hai messo il cervello in naftalina? Cosa fai se ti sei lasciato convincere che non andava bene e hai smesso di pensare, hai smesso di sentire?

Disastro. Chi ti tirerà fuori dal pozzo? Ci hai mai pensato? Dovresti, dovresti. Perché non serve a nulla stare lì a inveire contro tutto quello che non va bene, non serve a te, non serve agli altri. Bisogna trovare un altro modo. Se vuoi, però, fare come Calimero, allora tira fuori la vocina e di’ come lui:

«È un’ingiustizia però!»

Ti senti meglio? No, vero? Ok, cominci a capire. Questo va bene, fidati, questo va molto bene. Inizia il vero lavoro, ora. Tieniti pronto, sarà come entrare in un frullatore, ma pensare va bene. Sentire va bene. E lo sai anche tu.

Daje.

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(95) Riempire

Si riempie ciò che è vuoto, lo so. Eppure l’esistenza di ognuno di noi ci mette un bel po’ prima di essere piena fino all’orlo. Solitamente ce ne accorgiamo quando siamo al limite e il vaso inizia a straripare.

Il buonsenso consiglia di svuotarlo di quel che non ti serve più per aver agio nel riempirlo di nuovo. Se arrivi fino all’orlo e lasci che sia il vaso a decidere che cosa deve uscire potrebbe non piacerti.

Io svuoto con assennatezza, ma faccio fatica a farlo in tempo, arrivo proprio sul filo filo. Devo affrettarmi a buttare e mi dispiace sempre.

L’ho fatto anche in questi ultimi giorni, anche se nessuno se n’è accorto. Ho scelto e ho buttato perché il vaso stava per straripare. Sarò dispiaciuta per tutto il mese, è ormai la prassi, ma poi il vaso mi si riempirà ancora di tante cose e nel casino me ne dimenticherò.

Succederà che qualcuno, a un certo punto, mi vorrà far ricordare qualcosa che io ho dimenticato e mi riprenderà lo sconforto (perché buttare è brutto) e poi me lo ri-scorderò. Così si sopravvive.

Questo per dire che anche se ho buttato non significa che non sia stato importante. Voglio sopravvivere e poter accogliere ciò che arriverà. Ho idea che mi ci vorrà spazio e molta forza per farlo, diventa sempre più complicato sopravvivere.

Augh.

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(82) Rompicapo

Lo sono stata per molti, lo sono stata per me stessa per molto tempo. Non sapevo come prendermi in mano, non sapevo come perché non sapevo cosa e quanto ero. Nel bene e nel male. Nel male e nel bene. Intera (o quasi). Non lo sei mai, intera, finché non arrivi alla fine.

Stasera l’incontro con la scrittura, per parlarne e per capirne di più assieme a quelli che chiamo miei allievi, ma che non lo sono davvero. Né miei, né allievi. Sono persone con cui faccio un pezzetto di strada, alla fine siamo pari. Loro sono allievi miei quanto io sono loro allieva. Equilibrio perfetto.

Dicevo che stasera, come ogni sera di scrittura condivisa, mi sono ritrovata a scoprirmi (di nuovo e ancora) molto più semplice di quel che mi penso di solito. Pecco sicuramente di presunzione, di solito. Non sono un rompicapo, mi penso un rompicapo, ma non lo sono. Sono, in verità, molto semplice.

Ho un inizio, ho una fine e in mezzo c’è la storia. Può essere un po’ intrecciata strana, questo sì, ma non è una trama così barocca né così preziosa. E’ un motivo piuttosto semplice, piuttosto lineare. Chi non se ne accorge è perché mi guarda da troppo lontano. Non mi sto lamentando di questo, no, va bene così, avere tutti vicino mi farebbe dare di matto (sono pur sempre un’introversa convinta, ricordiamocelo) sto soltanto valutando il fatto che non sono complessa come di solito mi penso. Sono più presuntuosa di quello che mi penso, invece. Ali basse, Babsie.

E un bel sospiro di sollievo, anche.

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