(886) Tormentone

Vivo di tormentoni. Che quelli di agosto alla radio mi fanno un baffo. Potrei fare diecimila esempi di come ci siano cose da cui mi faccio ossessionare, contenta di esserne ossessionata per di più. Da non crederci.

Fatto sta che a un certo punto mi rompo e quindi elimino totalmente il tormentone dalla mia vita. Tanto da disconoscerlo a 360°. Se qualcuno me lo ricordasse – povero lui/lei – sarei pronta anche a negare l’evidenza. Una volta fuori dalla mia vita il tormentone perde ogni potere e diventa niente. Zero.

Non lo so se sia normale. Voglio dire che non oso neppure chiederlo a chi mi sta vicino se vive la questione “tormentoni” così come la vivo io, una sorta di pudore me lo impedisce. Forse anche il timore di essere ricoverata alla neuro. Ora ne scrivo perché probabilmente ho bisogno di un po’ di adrenalina e se il post vi finisse strambamente all’improvviso davanti agli occhi significa che sono venuti a prendermi.

Il tormentone di cui mi approprio, nella fattispecie, accompagna un periodo della mia esistenza con le sue vibrazioni. Per esempio: sto male e mi ossessiono con una canzone triste all’inverosimile, sto bene e scelgo una che mi fa volare. Questa più che un’abitudine è diventata la regola per quanto riguarda la musica. Ci sono però delle cose che stanno con me perché senza mi sento male. La MIA mug, per dirne una. E non è soltanto una, cambia a seconda di come sto. O del luogo in cui mi trovo. Se sono a casa ne ho parecchie tra cui scegliere, se sono al lavoro posso contare su un paio (o per la tisana/tè o per il caffè). Insomma, se dovessi approfondire la questione della sostanza del tormentone in essere potrei torturare chiunque con storielle molto stupide e inutili, quindi preferisco vivermi queste ossessioni nel mio intimo.

Certe volte, però, ho bisogno di farle uscire. Come stasera. Non so perché, forse perché sto per scegliere proprio quella canzone e sto bevendo tisana bollente da quella MIA mug. Sì, insomma. Normale normale proprio non dev’essere. Me lo confermate?

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(644) Paroliere

Un bravo paroliere modella i pensieri per farli stare comodi in una frase musicale mantenendo l’armonia di ogni parola e di ogni lettera intatta così da farle brillare di più.

Non è una cosa che può passare inosservata/inascoltata, un bravo paroliere ti ammalia usando il suo mondo interiore e traducendolo con delicata sensibilità sonora. Sensibilità sonora significa che le parole e la musica si abbracciano, si accarezzano, si accomodano una dentro l’altra per farti alzare lo sguardo e farti accelerare il battito cardiaco. Si tratti di una canzone romantica o di una canzone di protesta, non fa differenza, la questione della delicatezza e della sensibilità sonora non cambia. Quella cosa lì è, né più né meno.

Il fatto che la nostra lingua sia complessa e difficile da modellare, rende un bravo paroliere ancora più bravo e degno di ascolto. Penso che siamo tutti d’accordo.

Faccio presente che in Italia i bravi parolieri sono veramente pochi pochi pochi, si possono contare sulle dita di una mano e facendoci caso sono praticamente quasi tutti passati a miglior vita. No, il rap hip-hop non conta, non conta per nulla perché non cantano ma parlano sopra una traccia che spesso è soltanto ritmo e striminzita melodia. La canzone è un’altra cosa.

Io capisco che ognuno c’ha i suoi idoli e guai a chi li tocca, sono così anch’io, ma non si può affermare il falso e l’argomento musica è fino a un certo punto gusto personale, ma proprio soltanto fino a un certo punto. Poi no. E lo so che qui si sentirà acuta e pungente la mia vena poetica, ma oggi ho ascoltato un brano di un paroliere bravo italiano e la meraviglia di ri-scoprire la sua arte m’ha spinta fino al dover esprimere/scrivere il pensiero in questo post.

L’ho scritto per amore: amore per la musica, amore per le parole, amore per la sensibilità sonora, amore per la delicatezza.

Ecco.

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(539) Osanna

osanna /o’zan:a/ [dal lat. tardo hosanna, gr. ōsanná, adattam. dell’ebr. hōs-hī’ah-nnā “salva!”]. – ■ interiez. (relig.) [voce ebraica di acclamazione e di preghiera, passata nella liturgia cristiana] ≈ alleluia. ■ s. m., invar. [spec. al plur., grido di esultanza e di esaltazione: gli o.della folla] ≈ evviva, urrà, viva. ‖ acclamazione, giubilo. ↔ abbasso. ‖ contestazione, disapprovazione. ⇓ fischio, pernacchia.

Mi piaceva fare le prove con il coro della chiesa del mio paese quando ero ragazzina. Facevo finta di cantare, ma mi piaceva stare lì. Per inciso: io amo cantare, ma in quel coro facevo finta di cantare. Perché? Semplice: le altre voci mi entravano nella testa come una siringata di adrenalina in pieno petto e la mia voce mi scompariva dentro. Temendo di stonare e fare brutta figura mimavo il canto senza emettere suono. L’ho fatto per anni, nessuno se n’è mai curato.

Le cose che mi infastidiscono solitamente me le gestisco così. So che è assurdo, ma raramente mi impunto per far finire il fastidio. Me lo gestisco come posso.

Che io ancora non abbia sbroccato mollando un pugno sul naso a qualcuno ha dell’incredibile, me ne rendo conto. Conscia di questa mia condizione borderline qualche tempo fa decisi di iniziare a far presente al mio prossimo che NO non mi va tutto bene e NO non ho più intenzione di sopportare/tollerare cose che superano la mia soglia di sopportazione/tollerabilità. Così ho iniziato a fare cose e dire cose che non ho mai fatto/detto e le persone hanno iniziato a reagire. Prima lo stupore, poi il contrattacco con dimostrazione palese di un sentimento di offesa profonda e poi l’affermazione della propria posizione. Questo in generale. In alcuni casi, la reazione ha stupito me per il passo indietro e per le scuse che mi sono state offerte senza per altro averle pretese.

In altre parole: ho smesso di fingere di cantare e mi sono unita al coro. Primo step nella giusta direzione.

In questi ultimi mesi, però, ho dovuto fare un ulteriore passo per una presa di posizione più decisa. Ho iniziato a cantare con forza, per farmi sentire. Dopo il putiferio iniziale, durato qualche mese, le cose si stanno sistemando. Nel senso che si stanno sistemando a mio favore. Niente di eclatante, piccoli spostamenti, ma importanti.

No, non dico che sia finita qui, anzi. Mi aspetto il colpo di coda, ovvio, ma per il momento posso cantare a squarciagola il mio Osanna! senza temere di stonare.

No, sembra cosa da nulla, ma è cosa da far tremare le ginocchia. Fidatevi. Provate.

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(423) Juke-box

Monetina, scegli la canzone, pigia il tasto e… musica. E ti compravi così due/tre minuti di spensieratezza o di nostalgia o di quello che ti sembrava potesse farti stare bene, per un po’. 

Un gesto che facciamo tutti e che facciamo continuamente, anche se non ce ne rendiamo conto. Monetina, scelgo la canzone, pigio il tasto e… musica. E quando parte la musica tu stai lì per un po’ e ti immagini qualcosa, qualcuno, che c’era e non c’è più, o che non c’è mai stato e non ci sarà mai, o che potrebbe comparire all’improvviso per cambiarti la vita. Ci concediamo un sogno mentre dondoliamo la testa, mentre ciondoliamo il corpo seguendo un ritmo, una melodia che veste il nostro sentire/sentirci per un po’.

Credo che a nessuno dovrebbe essere tolto un sogno, mai, in nessun modo. Sarebbe come togliere le note da un pianoforte, togliere le ali ad una rondine. Non si fa, non si fa e basta.

So che spesso questi miei pensieri notturni si fanno confusi e tumultuosi, lo so, ma sono nati così e così voglio che rimangano, fissati dai pixel che di poco si allontanano dall’inchiostro che amo tanto. E se parlo di Juke-box e di sogni, di nostalgia e monetine e sentimenti, non è perché non so dove andare, ma perché dove vado ci sono tutte queste cose insieme e molte altre che non si fanno tradurre e prenderle troppo sul serio sarebbe da pazzi ma ignorarle ancora di più.

Nel mio Juke-box le monetine scendono con intenzione, la musica non è mai casuale e la nostalgia si mescola al resto come se non ci potesse essere nient’altro a sollevarmi dalla terra. Forse non sarà il miglior sistema per gestire i pensieri, ma è abbastanza per decorare a modo mio questa vita che semplice non è. Mai.

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