(815) Apparenza

In apparenza va tutto bene, ma sotto? Sotto la superficie, sotto la pelle? In apparenza le cose possono scivolare via, come se non fossero importanti, come se tutto fosse lo stesso. Raramente lo è, lo stesso, raramente l’apparenza ci può bastare. 

Apparire e scomparire, lo fa ogni mago che si rispetti, ma se ci pensiamo bene lo facciamo un po’ tutti. Forse meno magicamente, ma sempre in modo pressocché efficace. Lasciamo vuoti e colmiamo vuoti, incessantemente.

In apparenza ci si muove, si percorrono distanze inenarrabili, si vola, si cammina, si corre, si nuota, si pedala, si dà gas ai motori. Spesso rimaniamo fermi inchiodati ai nostri limiti, alle nostre debolezze, alle nostre vulnerabilità. Questo dovrebbe avere qualche rilevanza per noi, ma anche se in apparenza sembriamo tanto profondi, sotto sotto pensiamo di farla franca. Sbagliamo.

Apparire per mostrarsi a un pubblico, di solito non pagante, che però è pronto a dare il meglio di sé con opinioni, valutazioni, giudizi implacabili, che sanno esattamente come colpire. Apparentemente in buona fede. Ovvio.

In apparenza le cose che facciamo parlano di noi, le cose che mangiamo, che compriamo, che scegliamo. Non è così quando siamo consci dei riflettori e della portata del nostro apparire, che dovrebbe sempre giocare a nostro favore, mica contro. Certe volte ci riusciamo, altre meno, altre per niente. Ma non diamo mai colpa all’apparenza, pensiamo sempre che la sfiga in qualche modo s’è accorta di noi.

Va bene, anche per oggi sono apparsa. E ora è meglio che sparisca. Augh.

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(504) Risorsa

Ci sono giorni in cui gira male. C’è qualcosa nell’aria che ti ripete quello che non vorresti ascoltare, ma sei troppo vecchia per pensare che girando le spalle alle voci poi quelle scompariranno. Non succede mai.

Cominci a pensarci, perché sai che quel qualcosa non è un dettaglio, è la parte di te che ti ha sempre spinta avanti e quando si impunta è perché sei in un momento in cui potresti non avanzare. Più fai resistenza e più sai che è importante attraversare il fuoco e spingerti avanti. La tua risorsa più preziosa è la tua condanna, in poche parole.

Risorsa significa che, anche se non sai che c’è, sei dotata di una forza che non si doma, che non chiede di essere domata, che pretende spazio per espandersi. Risorsa significa che, anche se non è comodo né semplice, sei tenuta a prenderla in mano per farne qualcosa, altrimenti che starebbe lì a fare? La muffa? Eh! Risorsa significa che, anche se anziché muoverti ti sotterreresti volentieri, sei fortunata perché c’è ancora, è lì per te e ti servirà per crescere-migliorare-evolvere. Come dici? Sei stanca?

Ok, ci sta, sei stanca. Ma stanca di cosa? Di essere soffocata, bistrattata, mortificata o sei stanca di camminare, avanzare, evolvere? Perché ogni volta che ti gira male non è perché stai crescendo, ma perché stai involvendo. Non sei pigra, sei imbrigliata! Come dici? Sei legata stretta?

Esatto: sei affamata, sei segnata dalle briglie, sei esausta. Stai morendo di stenti, e lo sai. Vogliamo prenderla in mano ‘sta benedetta risorsa o ti lasci andare così come se non contasse nulla, come se non contassi nulla?

Ecco, appena avrai trovato la risposta agisci di conseguenza. Evolviti, santiddddio! E senza lamentarti.

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(252) Capolavoro

Per molti anni ho preso sul serio la fine del mondo. Nel senso che ogni volta che mi capitava qualcosa di spiacevole e doloroso io pensavo fosse destinato a durare per sempre e che la fine del mio mondo sarebbe sopraggiunta di lì a subito per stroncarmi definitivamente.

Mi sbagliavo.

Sopravvivere ai dolori è una stramberia perché ti passa piano piano la paura e diventi un po’ spavaldo e un po’ sborone. Quasi arrogante. Certamente supponente. Guardi chi si dichiara felice e privo di patemi con un certo distacco, come fosse un essere inferiore. Oppure il contrario: tutto il dolore che hai attraversato ti rimane addosso come una maledizione e muori un po’ ogni giorno, perché non vedi più niente se non quel buio che ti inghiotte.

Dove sono finita io? Ho vagato da un evento all’altro cercando di capire di cosa mi importava e di cosa potevo fare a meno, per molto molto molto tempo. Non mi sono persa, mi sono spesa, temo troppo. E quando sei esausto ti stacchi da tutto e vuoi solo dormire. Il distacco è la chiave.

Vedi un’altra piccola fine del tuo mondo, ma la distanza ti permette di non crogiolarti nel dolore o nella nostalgia. A distanza scorgi la rete intricata della tua ragnatela e ti sembra un capolavoro. Allora aspetti che la stanchezza passi perché sai che sarai di nuovo pronta a camminare. Non correre, no. Camminare.

 

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(91) Orizzonte

Tenere lo sguardo a terra è cosa saggia perché se appoggi il passo su un terreno sdrucciolevole, una buca, un ostacolo, finisci a terra che manco te ne accorgi. Ho guardato molto la terra su cui poggiavo i piedi, non mi sono evitata scivoloni, ma sono caduta sempre a metà, preparata un nanosecondo prima grazie al mio guardare.

Se, però, lo sguardo non s’alza mai da terra per rivolgersi a ciò che ti circonda rischi di sbattere ovunque e di farti molto male (oltre ad assicurarti un torcicollo cronico, che non è una cosa bella). Ho sbattuto spesso contro persone e cose che mi hanno fatto male e ho imparato a prestare attenzione a quello che mi sta attorno e a farne i conti.

(guardati attorno, guardati dentro e guarda la terra su cui poggi il passo – un lavoro a tempo pieno che può diventare snervante, lo ammetto)

I momenti più belli in assoluto li ho vissuti quando ho osato spingere il mio sguardo all’orizzonte. Momenti di silenzio in solitudine pressocché perfetta. Credo che quel punto preciso, l’orizzonte, sia l’incontro di ciò che hai dentro, ciò che hai attorno, ciò che hai sotto i piedi e (meraviglia) ciò che hai sopra la testa. E cosa ancora migliore: guardi al tuo cammino con uno scopo, è là che vuoi arrivare.

L’orizzonte è così. Si muove come io mi muovo, per motivarmi a proseguire perché la strada da fare è tanta, molto di più di quello che tu puoi pensare. Si ferma se io mi fermo, per assicurarmi che una meta c’è e mi aspetta. L’orizzonte non scompare neppure quando sei chiuso in una cella (reale o virtuale che sia) perché rimane impresso nella retina e se chiudi gli occhi si ricompone a tuo piacimento. Senza perdere il senso, senza perdere lucentezza.

Il mio orizzonte è così, il mio come quello di tutti. Solo che non tutti se ne accorgono e pensano che spingere lo sguardo all’orizzonte sia cosa da sognatori. Si sbagliano di grosso, è cosa di tutti quelli che amano camminare la propria vita.

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