(131) Standby

Spenta ma ancora viva. Mi sono sentita così per tutta la mia adolescenza. Spendevo il mio tempo dove non volevo stare, per forza di cose dovevo starci (era una scuola totalmente sbagliata per me), e aspettavo di iniziare a vivere. Viva eppure spenta. Spenta perché avevo capito che se mi accendevo e facevo quello che volevo finiva che a spegnermi era qualcun’altro. Meglio farlo da me, pensavo, fa meno male. Forse qui mi sbagliavo.

Oggi ho visto negli occhi dei ragazzi che avevo di fronte a me lo stesso segnale: standby. Vivi eppure spenti. Ho sentito quel dolore come se fosse ancora il mio. Credo, in effetti, che sia ancora mio. Quando sento che il mio essere viva suscita il fastidio di qualcuno che mi vorrebbe spegnere con un’occhiata o un gesto, per reazione – istinto di sopravvivenza, credo – vorrei spegnermi. Ovviamente, ora sono adulta e mi impongo almeno di essere vigile, spenta non ci sto più.

Quella cosa lì, però, resta dentro di me latente, subdola. Se lo hai provato sulla tua carne, quel maledetto dolore non lo scordi più.

 

 

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(122) Pazienza

Essere addestrati alla pazienza, questa la grande ricchezza della mia vita. Non sto scherzando, tutti i miei desideri concretizzati hanno avuto tempi giurassici. 

La colonna sonora della mia esistenza potrebbe essere: “Patience” dei Guns’n’Roses. Just a little patience – cantava Axl al culmine della sua carriera e del suo fascino selvaggio – eh, Axl, a guardarti adesso viene davvero da esclamare Pazienza! (ma come ti sei ridotto, santocielo?!).

Metto da parte per stasera tutte le imprecazioni che l’andare a velocità triplamente rallentata rispetto a molti altri mi suscita ogni volta che ci penso e guardo la cosa dalla prospettiva opposta.

So aspettare. Nell’attesa so cosa fare (lavoro, studio, vivo, cresco) e non perdo tempo. Se avessi avuto pazienza e semplicemente aspettato, sarei morta d’inedia, invece eccomi qui. Sono ancora molto paziente e piuttosto presente nella mia modesta esistenza di lottatrice di sumo (visto l’agilità e la stazza non potrei paragonarmi ad altro atleta).

Detto questo: c’è un limite anche alla pazienza.

Credo che ora dovrò imparare a non essere paziente. Almeno non sempre. Esserlo con discernimento (e non perché devo fare la brava) è il mio prossimo goal.

Si salvi chi può.

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(36) Pezzi

Non è semplice metterli insieme. Neppure sistemarli in modo che i contorni combacino. Non è un puzzle con le tessere ricamate ad hoc. Un rompicapo ha soluzione che sistema tutto, ma i pezzi una volta andati non si ricompongono più in un’opera intera.

Rimangono buchi, incastri poco felici, figure sbilenche. Una bellezza deturpata per sempre.

La bellezza, però, si può rinnovare. Devi venirne a patti, ovviamente.

Il corpo può andare in pezzi, il cervello anche. Il primo porta segni evidenti, il secondo non sempre. Qual è il danno più serio: quello che si vede o quello che si cela? Non lo so, nessuno lo può sapere credo.

Ecco perché bisogna diffidare da chi afferma con sicurezza che i tuoi pezzi  valgono niente. Chi può saperlo? Tu? Loro? Nessuno.

Nessuno può prevedere come i tuoi pezzi potranno rigenerarsi e creare nuova bellezza. Credo valga la pena scoprirlo, con pazienza e speranza.

Speranza? Sì, serve anche quella quando i pezzi sembrano ridurti anziché moltiplicarti. Tieniti saldo all’immagine che hai di te e non perderti d’occhio.

Qualcosa succederà. La tua bellezza si rigenererà.

 b__

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