(393) Z

Essere l’ultima. Della serie, della fila, della giornata. Non mi ha mai preoccupata più di tanto, l’ho sempre dato per scontato. Fermo restando il fatto che non ho mai sopportato il profetico “i primi saranno gli ultimi” – concetto ridicolo sotto ogni punto di vista – non ho mai provato invidia per i primi, neppure per i secondi e i terzi, piuttosto ero certa che in tutti loro ci fossero dei meriti che a me mancavano.

E giù la testa a lavorare, a mettersi alla prova, a sputare sangue. Per anni, anni e anni. Talmente tanti anni che non ho fatto altro fino a oggi. Oggi ho alzato la testa e non so se ridere o se piangere perché il cambio di visuale mi lascia perplessa. Sono molto lenta a capire le cose della vita, funziono in modo semplice e lineare, talmente lineare che a volte sembro stupida. Sembro. Il verbo sembrare può trasformare tutto: da una Z si passa alla A con un gioco da nulla. Ma quando una Z sembra una A la magia è grossa e non ambisco, in tutta onestà, a tanto. Posso al massimo stirarne bene i lembi e renderla ____ piatta. Cosa c’è di più perfetto di una linea retta che si estende all’infinito? Niente, ma mi assomiglia poco.

Rimango una Z, ho deciso. Con gli occhi aperti, però, e orgoglio sventolante.

 

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